“Le toghe rosse non c’entrano nulla con le intercettazioni del caso Palamara”. Lo assicura l’ex presidente della Camera Luciano Violante intervistato da Panorama. “Le dirò di più: la sinistra -assicura- non ha mai dominato la magistratura. Nei primi anni Cinquanta c’era il problema dell’attuazione costituzionale dell’ordinamento e l’obiettivo di una generazione di magistrati interamente formata contro il fascismo era proprio questo. Partito comunista, partito socialista e sindacati, ma anche liberali e repubblicani apprezzavano, mentre le forze conservatrici contestavano. Alcuni di quei magistrati erano di sinistra, altri liberali e repubblicani, altri ancora della sinistra democristiana. C’era lo schieramento filo costituzionale e quello indifferente alla Costituzione“.
“Questa contrapposizione -sottolinea Violante- è andata avanti nel tempo, con rotture rilevanti negli anni del terrorismo. Alcuni, come me, uscirono da Magistratura democratica perché sul terrorismo di sinistra aveva un atteggiamento ambiguo. Oggi resta il fatto che se un politico di destra viene inquisito pensa che il magistrato sia un avversario politico. Ma sono procedure di auto consolazione“.
E quando gli chiedono perché il sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, ha scelto proprio questi giorni per ribadire che lo elogiavano solo se indagava su Silvio Berlusconi, dice: “Non lo so, ma so che nei confronti di Berlusconi, anche per come si è comportato lui con i magistrati, c’è stato uno scontro vero e vicendevolmente carico di pregiudizi. Quando Berlusconi si presentò davanti alla Giunta per le autorizzazioni a procedere, nel 2013 -ricorda Violante- dissi una cosa abbastanza semplice e cioè che bisognava prima leggere la documentazione e che lui aveva il diritto di difendersi. Mi tornò addosso una valanga di insulti. Ma un partito democratico deve difendere anche i diritti degli avversari, sennò che partito democratico è?“.
Poi spiega la sua ricetta per combattere baratti e ritorsioni tra i magistrati. Secondo Violante il Capo dello Stato dovrebbe scegliere il suo vice al Csm, mentre le segreterie vanno selezionate per concorso e bisogna allungare la durata della consiliatura a 6-8 anni.
“Chiedere l’intervento del capo dello Stato ogni volta che c’è un grave problema è segno delle difficoltà del momento. Non è una legge elettorale che può risolvere questi problemi. Il Csm l’ha cambiata cinque o sei volte. Si è cercato di estendere la platea degli eleggibili, poi quella degli elettori, poi di rivedere le regole, da proporzionale a maggioritario e viceversa. Ma gli elettori sono diecimila, un paesino, e mettersi d’accordo è sempre possibile. Bisognerebbe guardare ad altro. La vicenda Palamara, sottolinea Violante, “va spiegata dai protagonisti, ma pongo una domanda: da chi viene eletto il vicepresidente del Csm? Da un patto tra le correnti e tra queste e la componente laica. Quindi ogni consiliatura nasce con uno scambio che legittima tutti quelli successivi. Ci sono stati vicepresidenti di primissimo ordine come l’attuale, David Ermini. Però il vice del capo dello Stato non è scelto dal capo dello Stato. Possiamo discutere di questo? La mia idea è che possa essere il presidente della Repubblica a nominare il proprio vice. Così si toglierebbe un pò di spazio ai baratti. L’altra cosa su cui insisto è la durata del consiglio: quattro anni sono pochi. L’eletto ha costantemente sul collo il fiato dell’elettore; la durata dovrebbe andare almeno a 6-8 anni, perché l’elettorato cambia e si riducono le possibilità di ritorsioni”.
E rispondendo a chi sostiene se ai magistrati delle chat dava più fastidio Matteo Salvini o la sua politica sull’immigrazione, afferma: “Io credo che abbia dato fastidio una certa arroganza manifestata da Salvini. Le battute sul giudice di Agrigento, il suo atteggiamento un pò guasconesco. È anche possibile che sia scattato un meccanismo di difesa del territorio perché un ministro era intervenuto su materie regolate solo dalla magistratura. Difficile cogliere dalle intercettazioni quale fosse il problema. L’allora vicepresidente del Csm Giovanni Legnini chiese espressamente ai colleghi togati, e non ai laici, di fare una nota scritta per appoggiare l’indagine sul sequestro della nave con i migranti“.