La recente conferenza stampa parlamentare sulla Sicurezza alimentare e difesa delle produzioni agricole nel Mezzogiorno ha sottolineato ancora una volta l’importanza della difesa del benessere alimentare in Italia. Le sfavorevoli condizioni del mercato del grano dipendono dall’impossibilità di coprire l’intera filiera produttiva; i distretti cerealicoli meridionali italiani – Sicilia e Puglia in particolare, che da sole contribuiscono al 42% della produzione -, devono competere con distretti industriali e commerciali come quelli della Monsanto in California.
Il vantaggio competitivo di questi distretti esteri dipende dalla qualità della produzione in relazione alla stagionalità, che implica controlli più stringenti sulla tossicità dei contaminanti. L’incapacità italiana a coprire il fabbisogno nazionale (8 milioni di kg) alimenta inoltre la domanda di importazione di circa un terzo, a fronte del 25% delle esportazioni italiane mondiali. Nel porto pugliese di Manfredonia sono stati scaricati recentemente più di 500mila quintali di grano duro importati da Kazakistan, Russia, Canada e Australia e Paesi dell’Est, nonostante il 2016 abbia registrato un incremento nella produzione di grano del 35%, più di 10 milioni di quintali prodotti ma di media qualità.
L’importazione di grano ha infatti anche motivazioni di tipo qualitativo: secondo Altroconsumo, può definirsi pasta di grano italiano solo il 23% dei marchi presenti sul mercato. Questo perché per la produzione di prodotti industriali è necessario miscelare farine di grani diversi, in particolare con grano “di forza”, caratterizzato da particolari qualità organolettiche, scarsamente prodotto in Italia. Per timore di creare allarmismi, solo il 42% delle aziende pastaie dichiara in etichetta le informazioni sulla provenienza del grano acquistato, tra le quali ad esempio Divella e Voiello a differenza di Alce Nero e Conad.
Il decreto presentato recentemente a Bruxelles mira dunque a rendere obbligatoria la dichiarazione di provenienza del grano direttamente sull’etichetta, oltre che indicare dove sia stato macinato. Se il grano è stato macinato in Paesi diversi, sull’etichetta dovrà comparire la dicitura “Paesi UE” o “Paesi non UE”, mentre se è stato coltivato per almeno il 50% in un solo Paese, l’etichetta dovrà riportare la dicitura “Italia e altri Paesi UE e/o non UE”. Il provvedimento, che risponde ad una crescente esigenza di informazione verso il pubblico, ha l’intento di rafforzare la filiera produttiva grano-pasta e la competizione a fronte della concorrenza straniera. Durante l’incontro l’Associazione GranoSalus ha sottolineato come, mentre per il grano non esiste il problema degli OGM, resta il grave problema della pasta venduta dalle grandi marche italiane che risulta contaminata dalla micotossina DON, da glifosato e da cadmio, elementi presenti in molti fertilizzanti dannosi per salute.
Il problema dell’ approvvigionamento è inoltre strettamente connesso ai prezzi, che a monte non coprono la remunerazione dei fattori di produzione e a valle ricadono sui consumatori. I “margini” di manovra che consentono ai produttori di incidere sul prezzo di vendita riguardano l’utilizzo di acqua sorgente e la lavorazione dell’impasto lento con essiccamento a temperature al di sotto dei 70 gradi, fattori caratteristici della produzione italiana. Infatti, nonostante la crisi economica i consumatori si orientano verso una domanda salutistica; il biologico è inteso come espressione di una operazione educativa di grande valore, relativa al gusto del prodotto, all’interesse per i bassi indici glicemici o per i prodotti a Indicazione Geografica Protetta. La filiera della pasta è una protagonista del Made in Italy e testimonia alti livelli di qualità, dando lavoro a 300mila aziende agricole su un territorio di 2 milioni di ettari a rischio desertificazione. Malgrado l’etichettatura all’origine da sola non risolva i problemi della filiera della pasta, garantisce almeno un primo passo verso la trasparenza. A questo andrebbe affiancato un intervento massiccio di incentivi agli agricoltori italiani a investire per produrre grano con gli standard richiesti dai pastai in modo sostenibile anche epr l’ambiente. L’ informazione analitica sui contaminanti diventerebbe un marker di origine del prodotto e quindi, poiché i grani esteri etichettano la loro presenza, l’assenza di contaminanti diventerebbe una garanzia automatica che il prodotto è italiano. Contro le speculazioni che hanno fatto crollare il prezzo del grano, alla luce della normativa europea sulla concorrenza che vieta la fissazione dei prezzi sono necessari una Pac che possa velocizzare l’attuazione delle misure del piano cerealicolo nazionale, una campagna di promozione della pasta italiana nel mondo, l’autorizzazione di eventuali nuovi centri di stoccaggio differenziati per le sole produzioni locali e l’investimento nella ricerca per sementi che abbiano la quantità proteica adeguata. La sovranità alimentare della pasta italiana può essere garantita da un associazionismo che unisce produttori e consumatori, in un ottica antifrode e di vigilanza da parte dell’Antitrust.
