di Giuseppe Maraventano
Discussione alla Camera: disposizioni in materia di candidabilità, eleggibilità e ricollocamento dei magistrati in occasione di elezioni politiche e amministrative nonché di assunzione di incarichi di governo nazionale e negli enti territoriali
Nei giorni scorsi la Camera dei Deputati ha esaminato la discussione della proposta di legge, già approvata, in un testo unificato, dal Senato, n. 2188-A, riguardante il complesso rapporto tra politica e magistratura. Il punto principale di tutto il provvedimento riguarda l’impossibilità da parte del magistrato di servirsi delle funzioni attenenti alla politica in maniera contrastante con il principio di autonomia e terzietà che deve sempre caratterizzare l’esercizio della funzione giurisdizionale.
Sostenere il principio della divisione dei ruoli tra il potere giudiziario e il potere politico, impedendone così la contrapposizione, garantirebbe, attraverso le norme, l’eventualità di una candidatura per i magistrati; parallelamente, tale principio, assicurerebbe la ricollocazione dei magistrati dopo la loro esperienza.
Pare necessario, dunque, impedire che il momentaneo impegno politico e istituzionale, di chi volesse sovrapporre il proprio ruolo giurisdizionale con quello politico-amministrativo, possa essere impropriamente utilizzato, con tutte le conseguenze che da ciò ne deriverebbero.
Analisi
“Bisogna garantire la libertà di pensiero dei magistrati sul piano politico. Indubbiamente il diritto di voto che si riconosce ai magistrati e il diritto di eleggibilità che ad essi si assicura, servono in parte a garantire questa libertà di pensiero sul piano politico. Ma è necessaria una limitazione per quanto riguarda i partiti politici”, dichiarò, nel lontano gennaio 1947, Aldo Moro.
Ma il tema dei magistrati prestati alla politica è ancora oggi piuttosto spinoso. Il dibattito in merito alla candidabilità dei magistrati ha sviluppato diverse linee di pensiero. Tutti ricorderemo l’esperienza di Antonio Di Pietro che, da pm di punta del Pool di Mani pulite, fondò un partito politico. Dagli anni ’90 a oggi poco o nulla sembra essere cambiato: Michele Emiliano, magistrato fuori ruolo e candidato segretario del Partito Democratico, è in attesa di conoscere la decisione del Consiglio Superiore della Magistratura in merito alla sua “sistematica e continuativa” militanza nel PD. Nulla, però, sembra preoccupare il Presidente della Regione Puglia che, in una recente intervista, ha dichiarato “non c’è nessun impedimento, di nessun tipo tra l’attività politica, l’avere la tessera di un partito e l’essere un magistrato in aspettativa per ragioni politiche”.
Ebbene, per evitare che ci possano essere delle indebite confluenze nell’esercizio dei due ruoli, bisognerebbe rispettare uno dei principi fondamentali dello stato di diritto: la separazione dei poteri.
“Si tratta di un sacrificio, ma il sacrificio è giustificato perché sia garantita la libertà dei cittadini, verso i quali i magistrati, per la loro stessa funzione, hanno obblighi diversi da tutti gli altri”, continuò Moro.