Le prerogative del Presidente della Repubblica autorizzano il garante dello Stato e degli italiani di porre un eventuale veto sul nome dei ministri proposti dal Presidente del Consiglio e dunque dai partiti che lo sostengono.
Il cosiddetto “governo del cambiamento” che Lega e M5s volevano proporre al Paese non potrà avere proseguimento perché Conte ha rimesso il mandato nelle mani del Capo del Quirinale, che per sue parole, ha fatto il possibile per assecondare al massimo i partiti di Di Maio e Salvini.
A creare il caso che ha frenato la nascita del nuovo Esecutivo é stato il nome dell’ottantaduenne Paolo Savona all’Economia, noto per le sue posizioni radicali anti euro. Ebbene, il veto di Mattarella sul nome dell’economista cagliaritano c’era da diversi giorni: informalmente prima, formalmente dopo. Tira e molla, tira e molla, ma per Lega e Cinque stelle quel nome non poteva essere sostituito nemmeno davanti al rischio di far saltare un governo che desse prima di tutto stabilità al Paese dopo quasi novanta giorni di vuoto rappresentativo e amministrativo.
Tutto lascia pensare inevitabilmente come il nome di Savona rappresentava un pretesto per non assumersi la responsabilità della guida del Paese e tornare comodamente al voto con Salvini vincente nella coalizione di centro destra (nuovamente unita) ed il M5s nuovamente all’opposizione nel più facile ruolo che gli si addice. Possibile che solo per un nome si vanifichi la straordinaria possibilità di andare al governo dopo un’intesa trovata ed un concordato contratto di governo?
Forse Lega e 5 stelle se la sono “fatta sotto” perché capito che il governo nascituro non avrebbe avuto un gran futuro specie per i provvedimenti molto da propaganda elettorale e poco attuabili specie per copertura finanziaria?
É chiaro che a leghisti e grillini sarebbe bastato cambiare quel nome per garantirsi l’okay definitivo di Mattarella alla lista dei ministri. Sarebbe stato un passaggio semplice che prevedeva la mera sostituzione di Savona con un qualsiasi altro nome più equilibrato sulle posizioni da mantenere in Europa. Una soluzione rapida che avrebbe comunque, se non formalmente in un primo momento agli occhi di Mattarella, dato avvio in un secondo istante e nel corso della legislatura, comunque al volere di Di Maio e Salvini su politiche europeiste diverse da quelle degli altri paesi.
Adesso il M5s annuncia di voler mettere sotto stato di accusa il Capo dello Stato per “alto tradimento alla Costituzione”, atto che ovviamente non troverà i numeri in Parlamento, ma che forse servirà mediatamente ad aumentare i consensi dei “leoni da tastiera” e dei neofiti della politica, accrescendo la sensazione che, per l’ennesima volta, il partito di Di Maio é vittima del sistema.
Cresce la consapevolezza degli italiani: in pochi crederanno a questi giochini, Mattarella ha esercitato coscienziosamente il suo ruolo di garanzia che non può subire imposizioni nel pieno delle sue funzioni. Il resto é tutta scena, oggi é facile distinguere tra chi sta giocando una partita scellerata a discapito degli italiani e chi come il Capo dello Stato ha coraggiosamente scelto la strada più difficile da percorrere, ma certamente quella più responsabile per il futuro della nazione e dei cittadini.