Il dl Dignità arriva (finalmente) in Parlamento. Dopo una lunga gestazione seguita all’approvazione in Consiglio dei ministri, il provvedimento fortemente voluto dall’ala M5s del Governo è stato pubblicato in Gazzetta ufficiale. Ed entra, quindi, alla Camera accompagnato, però, da molte polemiche. La previsione, inserita nella relazione tecnica, degli 8 mila posti di lavoro persi il prossimo anno e seguita della stretta sui contratti a termine ha innescato un cortocircuito che ha portato il ministro dello Sviluppo economico e del Lavoro, Luigi Di Maio, ad accusare una non meglio precisata ‘manina’ di aver manomesso la relazione.
Il dl Dignità sarà incardinato questo pomeriggio nelle commissioni Finanze e Lavoro alla Camera con Giulio Centemero (Lega) e Davide Tripiedi (M5s) relatori. Il provvedimento, sponsorizzato soprattutto dai cinquestelle, ha innescato uno scontro tra ministeri sulla previsione contenuta nella relazione tecnica sugli effetti della stretta ai contratti a tempo determinato.
Secondo la relazione, sono 8 mila le persone che rischiano di trovarsi disoccupate quando il loro contratto a termine sarà scaduto e non potrà essere rinnovato a seguito delle novità introdotte dal dl. La relazione tecnica, infatti, evidenzia che il numero di contratti a tempo determinato attivati (al netto dei lavoratori stagionali, agricoli e Pa. e compresi i lavoratori somministrati) ogni anno è pari a 2 milioni, di cui il 4% (80.000) supera la durata effettiva di 24 mesi.
Il numero di coloro che non trova altra occupazione dopo i 24 mesi è pari al 10 per cento degli 80.000, quindi 8.000. Coloro i quali, appunto, rischiano di rimanere disoccupati poiché il dl Dignità impone una riduzione della durata complessiva del contratto a tempo determinato dagli attuali 36 mesi a 24 mesi. Una previsione disconosciuta dal ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio (i suoi ministeri, da titolari dell’iniziativa del dl, sono responsabili delle stesura della relazione), che ha in un primo momento scaricato le responsabilità sulla Ragioneria dello Stato. Ieri, invece, Di Maio e il titolare del Mef, Giovanni Tria, hanno emesso una nota congiunta con cui si ‘scagiona’ la Rgs e si scaricano le responsabilità sull’Inps: “bisogna capire da dove provenga quella ‘manina’ che, si ribadisce, non va ricercata nell’ambito del Mef“.