Una tregua repentina, forse insperata ma di certo benedetta dal gruppo dirigente M5s, quella che ha riportato la tensione tra le due forze di governo sotto la soglia della crisi. Di quanto, bisognerà capirlo nelle prossime ore, “quando capiremo cosa ha in testa Salvini”, sottolineano fonti parlamentari del Movimento, ma l’impressione è che se il leader leghista verrà definitivamente allo scoperto con la richiesta di un rimpasto, al di là delle ipotesi e delle voci delle ultime ore, da parte M5s l’intenzione non è certo quella di fare le barricate. Nessuno, all’indomani delle Europee, in casa M5s aveva pensato che il ribaltone elettorale negli equilibri tra i due partiti di maggioranza sarebbe stato privo di conseguenze e l’ipotesi di una correzione della composizione dell’esecutivo in un senso più favorevole alla Lega veniva considerata ineludibile ma allo stesso tempo gestibile. Quello della crisi, però, e’ apparso da subito come lo scenario da scongiurare a tutti i costi, per motivi palesi, ma anche per motivi in questa fase meno evidenti. Tra questi ultimi, il principale attiene alle dinamiche interne e alla leadership del Movimento. Nel “consiglio di guerra” che si è tenuto ieri a Palazzo Chigi tra Luigi Di Maio e alcuni dei suoi uomini più fidati, è certamente emersa l’irritazione per l’escalation salviniana e il timore per un probabile ridimensionamento numerico che l’eventualità di elezioni anticipate comporterebbe per M5s, ma un punto fondamentale del ragionamento del vicepremier e i suoi e’ stato la necessita’ di proteggere il processo di riorganizzazione del Movimento, appena annunciato con grande enfasi da Di Maio.
Nella road-map disegnata dal Capo politico grillino, per la fine dell’estate le votazioni sulla piattaforma Rousseau dovranno avallare la scelta dei 12 “facilitatori”, figure molto simili ai membri di una segreteria nazionale sulle quali e’ imperniato il progetto di trasformazione di M5s da Movimento a qualcosa di molto simile a un partito tradizionale. Lo stesso schema, come ha ribadito anche oggi Di Maio, dovrà ripetersi anche a livello locale, contribuendo cosi’ alla costruzione di struttura che permetta un maggiore controllo e coordinamento centrale delle iniziative e della linea politica, e non è un caso che il vicepremier abbia additato sul blog delle stelle i “meet-up in conflitto, dove i partecipanti litigano”.
Una partita, quella della rifondazione di M5s, cui è legata dunque a doppio filo nell’immediato la solidità della leadership di Di Maio, e nel medio termine, il compimento definitivo di quella metamorfosi da forza movimentista del “vaffa” grillino delle origini a punto fermo del quadro istituzionale repubblicano piu’ volte evocata dal vicepremier come fondamentale per la sopravvivenza stessa del Movimento. Molte delle energie di Di Maio e dei suoi, fanno notare fonti parlamentati del Movimento, sono impegnate in questo processo e la preoccupazione che il precipitare della crisi possa abortirlo è ben presente. Anche perche’ non si tratterà di un processo indolore: non manca, dentro il Movimento, chi non e’ d’accordo con la svolta impressa da Di Maio perchà la considera un modo per serrare i ranghi a suo favore e ‘controllare’ il dissenso interno. Quell’accenno alle “minoranze rancorose” cui di Maio si è rivolto giorni per difendere la sindaca di Torino, Chiara Appendino, dal “fuoco amico” è, in questo senso, un assaggio del conflitto attraverso cui il Movimento potrebbe passare nei prossimi mesi. L’obiettivo inderogabile, come p stato fatto presente nella riunione di Palazzo Chigi, resta quello di arrivare alla kermesse grillina Italia a 5 stelle del 12 e 13 ottobre a Napoli con tutte le caselle già sistemate. A fronte di questo, una rispolverata al manuale Cencelli in chiave “2.0” per puntellare il governo gialloverde rafforzando la presenza leghista e traghettarlo verso il 2020, potrebbe essere considerato un sacrificio accettabile poichè necessario.
