La collaborazione internazionale nell’ambito della missione della NASA “Artemis”, che si prefigge il ritorno dell’uomo sulla Luna entro il 2024, si baserà sugli Artemis Accords, resi noti nei giorni scorsi e ispirati ai princìpi del Trattato sullo spazio extra-atmosferico del 1967.
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In questo modo sarà possibile creare, come scrive l’agenzia spaziale statunitense, “un ambiente sicuro e trasparente che faciliti le attività di esplorazione, scientifiche e commerciali a beneficio dell’umanità”.
Si vocifera che tra i potenziali partner degli Usa nella missione spaziale “Artemis” ci siano Canada, Giappone, Stati membri dell’Unione europea ed Emirati Arabi Uniti.
Mentre è stata smentita la notizia, diffusa da alcuni media internazionali, secondo cui Washington avrebbe deciso di escludere la Russia.
Il Senato Usa starebbe tuttavia facendo pressioni volte al sabotaggio dei negoziati, e ha già ottenuto che la NASA ritirasse l’invito alla russa Roscosmos a recarsi oltreoceano per discutere di questioni legate al progetto .
Problemi da risolvere sulla Terra non le mancano, ma Washington vuole la corsa alla Luna.
Forse perché, in un futuro non troppo lontano, potrebbero farvi sbarco i cinesi.
Rivale ideologica e tecnologica degli Usa, la Cina, nel corso della sua “lunga marcia” verso l’infinito e oltre, si appresta a completare la costruzione di una stazione spaziale entro il 2022, mentre ha già testato con successo la versione di prova di un’astronave di nuova generazione, progettata in vista di una futura missione di allunaggio con equipaggio umano.
Nella corsa alla Luna, chi prima arriva meglio alloggia, dunque?
Gli Artemis Accords prevedono, tra le altre cose, la creazione di non meglio specificate “zone di sicurezza” per la prevenzione delle “interferenze dannose”.
Secondo l’esperto militare ed aerospaziale Song Zhongping, citato dal tabloid cinese Global Times, gli Usa starebbero sviluppando una nuova versione spaziale delle “enclosures” (il fenomeno della recinzione delle terre comuni avviato in Inghilterra nel 14° secolo), con l’obiettivo di colonizzare la Luna e di rivendicare la sovranità su di essa.
A quale scopo?
Nel 2015 è stata emanata una legge che garantisce ai cittadini statunitensi coinvolti nel recupero commerciale di una risorsa spaziale il diritto di proprietà, trasporto, utilizzo e vendita di tale risorsa, in conformità con la legge applicabile.
Considerato che a finanziare la missione da 30 miliardi di dollari “Artemis” è la NASA, con un possibile supporto da parte delle agenzie spaziali dei Paesi alleati, potremmo essere di fronte a un chiaro esempio di nazionalizzazione delle spese e privatizzazione dei profitti per mano delle imprese private coinvolte nel progetto.
Ma c’è anche chi pensa che si tratti soltanto di propaganda elettorale.
Per Vladimir Batjuk, ricercatore capo presso l’Istituto di studi statunitensi e canadesi dell’Accademia Russa delle Scienze, l’estrazione lunare non è conveniente dal punto di vista economico.
“Il trasporto dei carichi ha costi astronomici, e l’estrazione di qualsiasi cosa su scala industriale con i costi attuali non porterà guadagni a nessuno”, afferma l’esperto.
L’estrazione forse no, ma la fase preparatoria sì:
Infatti la NASA ha già selezionato tre aziende private statunitensi – SpaceX di Elon Musk, Blue Origin di Jeff Bezos e Dynetics – cui ha affidato la progettazione di lander lunari con equipaggio.
Per lo sviluppo iniziale del progetto riceveranno quasi un miliardo di dollari in 10 mesi.
Quanto a lungo durerà la fase preparatoria, nessuno lo può prevedere.
Giulia Zanette