Nel tessuto sociale odierno l’ecologia è sempre più avvertita come una improrogabile necessità trasversale per le agende politiche sensibili al buonvivere delle future generazioni. Essa non è più concepita quale frutto disciplinare di un minoritario pensiero ideologico o di uno stile di vita di nicchia, come purtroppo nell’opinione pubblica sostanzialmente maggioritaria si pensava – omettendo di dirlo – diversi anni fa. Associare le questioni ecologiche al portato di una visione ideologica di nicchia, secondo me, significa fare antipolitica, e quindi cadere in un dannoso ecopopulismo.
Dialoghiamo oggi di ecologismo politico e di politiche ecologiche con Angelo Bonelli, coordinatore nazionale dei Verdi, uomo con alle spalle alcuni decenni di battaglie per l’ambiente e con diverse esperienze istituzionali in politica.
Quali esperienze storiche e quali correnti di pensiero caratterizzano le radici del tuo ecologismo?
“Il mio vissuto da ecologista è stato caratterizzato dal rapporto con la realtà. Ho studiato e mi sono formato a Roma e a Parigi. Vedere pezzi della città dove io sono cresciuto, Roma, mi ha portato ad incontrare la militanza verde. Poi ci sono stati incontri come quello con Alex Langer, ma la cosa principale è il rapporto con l’esperienza quotidiana”.
In Italia, come in tante altre parti del mondo, si sta iniziando a sperimentare la necessità di promuovere folti movimenti socioculturali caratterizzati da un respiro internazionale, dato che siamo tutti ecosistemicamente interconnessi nella bellezza delle diversità su più piani. Così le materie prime estratte nei villaggi poveri ed ambientalmente sfruttati di alcune aree dell’America latina alimentano gli altoforni industriali europei. Ed anche la biosalute del polmone amazzonico del pianeta influisce sull’integrità biofunzionale dell’ecosistema globale; e non si tratta di filosofia astratta che dà peso energetico al battito d’ali della farfalla, bensì – rebus sic stantibus – di rilievi scientifici. Ho avuto modo negli scorsi anni di poter vedere dal vivo parte del tuo impegno in Puglia nelle iniziative dei comitati di riflessione pubblica ambientale. Vuoi parlarmi invece delle tue esperienze in Amazzonia e in altri punti del mondo extraeuropeo?
“Sì, volentieri. Ho lavorato in Amazzonia per molti anni della mia vita e ci ho anche vissuto per oltre un anno. Sono in contatto con molti leaders indios e con personalità del movimento ambientale e sociale brasiliano. Il mio primo incontro in Amazzonia è stato nel 2001, tre anni dopo ho incontrato la tribù degli indios isolata degli Zo’é insieme a un grande esploratore, Sydney Possuelo, a cui National Geographic dedicò la copertina definendolo come l’ultimo esploratore del secondo millennio. Ho continuato la battaglia per l’Amazzonia, collegandomi ai movimenti ed anche alla realtà di cooperazione Saúde e Alegria, che fa un grande lavoro di assistenza sociosanitaria alle popolazioni indios in un momento come questo in cui Bolsonaro ha avviato una politica di copertura delle attività illegali dei cercatori d’oro e tagliatori di foreste. Per quanto mi riguarda il tema dell’Amazzonia è un tema fondamentale e molte volte riceviamo critiche, ma bisogna avere una visione globale della difesa del nostro pianeta e difendere l’Amazzonia significa difendere anche l’aria pulita nel nostro Paese”.
Passiamo alla metodologia politica. Alle elezioni europee del maggio 2019 sei stato candidato per Europa Verde, lista composta dalla Federazione dei Verdi e da Possibile. Le tue precedenti scelte, come quella di non confluire nella sinistra vendoliana, sono indicative di un percorso a linee distinte. Si tratta di scelte identitarie, o di strategie vocate alla elasticità e alla intersezionalità per i diversi appuntamenti elettorali? Ha mai pensato ad un futuro in cui i Verdi saranno una Ong transnazionale e soprattutto transpartita sul modello del Partito radicale nonviolento transnazionale e transpartito?
“Non si tratta di una scelta identitaria, si tratta di costruire un progetto ecologista che si allinei ai risultati dei Verdi in Europa. Uno dei problemi dei Verdi in passato è stato quello di sommarsi o comunque sovrapporsi alle proposte della sinistra radicale, e questo ha impedito alla proposta verde di essere forte ed efficace nella sua capacità di positiva contaminazione con il resto della popolazione. Se limito il raggio d’azione a un perimetro piccolo è chiaro che la proposta ecologista non ha possibilità di crescita. In Germania, ad esempio, i Verdi tedeschi hanno la capacità di confrontare i propri programmi sia con la SPD – Partito Socialdemocratico, che con la CDU – Unione Cristiano-Democratica, e ovviamente hanno una discriminante forte antirazzista e antifascista essendo avversari della AfD, che è un po’ l’omologo della Lega in Germania. Noi stiamo costruendo un modello, quello di Europa Verde, federato e aperto alle istanze ambientali e di giustizia sociale. Oggi c’è la necessità di un movimento che da un lato si batta contro il cambiamento climatico e dall’altra parte costruisca l’istanza di giustizia sociale. Da questo punto di vista esiste il partito verde europeo che accoglie in sé ben ventisette partiti di tutti gli Stati membri”.
Passiamo dall’ecologismo politico alle politiche ecologiche. Nel 2017 l’Assemblea ambientale delle Nazioni Unite ha posto l’obiettivo globale dello stop alla plastica in mare; la Plastic strategy della Commissione europea prevede che entro il 2030 tutti gli imballaggi in plastica dovranno essere riciclabili o riutilizzabili con la connessa messa al bando delle microplastiche. Queste ultime dal 1° gennaio 2019 sono state vietate nei cosmetici dallo Stato italiano, così come sempre l’Italia ha vietato la vendita di bastoncini cotonati non biodegradabili. Brevemente, quali altri obiettivi avresti voluto vedere enunciati nelle prescrizioni normative e nelle politiche programmatiche pluriennali delle istituzioni sovranazionali?
“Io ritengo sia un errore il rinvio dell’incontro ONU di Glasgow per la questione COVID-19, anche perché con modalità di incontri digitali si sarebbe potuto ugualmente tenere. La crisi che viviamo anche a seguito della pandemia è figlia di una rottura e di uno squilibrio ambientale, e non affrontare questo problema ci mette in una posizione fragile di future pandemie. Per l’Europa, penso ci sia la necessità immediata che si costruisca una Europa solidale. Nel dibattito sul Recovery fund si vedono alcuni Paesi del nord Europa animati da egoismo, e quindi l’Europa dovrebbe intervenire con forza. Immagino di legare il Recovery fund ad un Green New Deal, a un piano che sappia indicare una nuova via. Posso dire tre questioni delle politiche verdi ed economiche: una politica energetica al cento per cento rinnovabile entro il 2050 che garantisca sicurezza energetica all’Italia, il tema dell’agricoltura affinché si favorisca un’agricoltura locale valorizzando sempre di più le nostre filiere, e il tema dei trasporti, poiché dobbiamo potenziare il trasporto pubblico nel nostro Paese”.
Ti ringrazio per la disponibilità al dialogo, strumento edificante della nostra democrazia pluralista.
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