Ministri e big della maggioranza continuano a ripetere che il voto delle elezioni regionali non avrà ripercussioni sul governo. Ma si tratta di una giustificabile fanfaluca, visto che in ballo ci sono territori chiave come la Toscana, da sempre ‘fortino rosso’, la Puglia a guida Pd, così come le Marche. Almeno per quel che riguarda i risultati considerati in bilico alla vigilia del voto. Ne sa qualcosa il Movimento 5 Stelle, che nella precedente esperienza di governo con la Lega ha ceduto gradualmente voti e visibilità agli ex alleati, innescando un giro di botta e risposta esplosivi che, di fatto, hanno portato l’esecutivo giallo-verde a un livello di tensione tale che la fine traumatica di agosto 2019 è apparsa ai più inevitabile.Oggi la situazione è decisamente differente, soprattutto per i pentastellati, che pur partendo ancora con poche speranze (le amministrative sono sempre state il punto debole), stavolta paradossalmente hanno poco da perdere da un indebolimento dei compagni di viaggio. Anzi, tutt’altro.
Nel 2018 il 33% che affidò a Luigi Di Maio e i suoi le chiavi del governo, era un tesoro prezioso da non disperdere. Ma tutti sanno come sono andate a finire le cose: tracollo al 17 percento alle scorse europee. Quella consultazione, però, segnò una piccola ripresa del Pd, che balzò dal 2018 dell’ultima gestione Renzi al 20-22 dell’era Zingaretti. Facendo due calcoli, in due anni la situazione si è capovolta.Se a questa riflessione si aggiunge il fatto che le vibrazioni sull’esito del referendum costituzionale sono molto buone per chi, proprio come il ministro degli Esteri, sostiene le ragioni del Sì, il quadro rischia ancora una volta di mutare in meno di due anni. Ridando vigore politico (non numerico) ai Cinquestelle, a scapito degli alleati democrat. Questo, almeno, nella maggioranza. Perché è ovvio che se le cose dovessero andare come sperano Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi, il centrodestra uscirebbe totalmente rafforzato nel confronto con le forze di maggioranza. A quel punto si aprirebbe una partita difficilissima per Giuseppe Conte e la sua squadra. E chissà se un rimpasto basterà a tenere la barra dritta.
In gioco ci sono i 209 miliardi del Recovery fund, in arrivo dal 2021. Prima ancora, però, si dovranno comporre i programmi. Operazione che non potrà vedere un ruolo marginale di Lega, Forza Italia e FI se dalle regionali realizzasse un’affermazione netta sulle forze di governo, sebbene separate e contrapposte. In alcuni casi anche con toni durissimi. Il lavoro dell’esecutivo giallorosso-viola, però, va avanti e il 28 o 29 settembre porterà in Consiglio dei ministri la Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza. Il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, assicura che il prossimo anno sarà fatto un altro passo in avanti verso la riforma del fisco, dopo il taglio del cuneo. Ma il grosso del piatto è sul Recovery plan. Da cui sarà difficile tenere lontano il tridente Salvini-Meloni-Cav.
Dario Borriello