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Dalla Lega al M5s, i partiti fanno i conti dopo il voto delle regionali

Dopo i risultati elettorali è tensione nei diversi schieramenti politici
L’unico che non ha fatto i conti con le Regionali è il premier Conte. Nel senso che aveva già detto che si trattava di un voto locale, anche una eventuale sconfitta di Giani in Toscana o di Emiliano in Puglia non avrebbe cambiato la sua tabella di marcia. In cima all’agenda c’è il ‘Recovery plan‘, con il timore di non sapere spendere quei soldi messi a disposizione da Bruxelles, di non superare insomma l’esame di fronte alla Ue e ai cittadini. Il giorno dopo l’esito delle urne, a maggior ragione oggi che sono arrivati pure i dati delle amministrative, i partiti si concentrano sulle valutazioni. Pesano la campagna elettorale fatta, le scelte compiute, le mosse dei leader. Ma le urne di domenica e lunedì sono la cartina di tornasole di come occorrerà muoversi in futuro, da qui il dibattito interno alle forze politiche e le tensioni su quale strada intraprendere.
Il primo a mostrare la faccia questa mattina è stato Renzi: “Mai un partito appena nato aveva fatto cosi’ bene”, ha spiegato, rimarcando l’apporto di Iv nello stoppare Salvini in Toscana. Ma una parte dei renziani sotto traccia non nasconde il fatto che ci si aspettava di più. C’e’ amarezza pure in FI, considerato che il partito ha perso consensi soprattutto al Sud, con le leve nuove che – come osserva un esponente azzurro – continuano a non capire scelte riconducibili al passato, come quella di Caldoro in versione anti-De Luca. Chi, invece, si dice pienamente soddisfatto è Zingaretti che cerca di ‘dettare’ l’agenda di governo, tagliando corto sul rimpasto ma non sul ‘Mes’ e sui decreti sicurezza. Ma le maggiori fibrillazioni si riscontrano nel Movimento 5 stelle. Di Battista ha ‘sfidato’ chi e’ andato ieri in piazza a gridare alla vittoria per il taglio del numero dei parlamentari. “Abbiamo perso dovunque, abbiamo perso da soli e in alleanze”. Ed ancora: basta parlare di leadership, di nomi o di alleanza, “per il M5S è una questione di identità e di comunità. Abbiamo perso non solo i voti, ma gli attivisti. Senza di loro non resta niente”.
Ancora piu duro Bugani, esponente della prima ora e vicino a Casaleggio: “Non c’è nessun motivo di esultare, abbiamo perso due milioni di voti in 8 anni”. Mentre il presidente della Camera Fico ha cercato di indossare i panni del mediatore, di fare un pò il Beppe Grillo della situazione, dando ragione a chi sottolinea come il Movimento abbia perso le elezioni ma allo stesso tempo chiedendo di abbassare la tensione: “La responsabilità delle colpe e dei meriti è collettiva. Serve una governance collegiale. Ci vuole un confronto – la sua analisi – per dirci le cose come stanno e mettere in discussione qualsiasi cosa per andare avanti, guardarci in faccia. Quando ci siamo detti queste cose, senza guerra tra bande e personalismi e egocentrismi, allora potremo intraprendere una strada. Gli Stati generali siano permanenti, non uno spot”.
Lo scontro è proprio sulla kermesse che dovrà decidere il futuro M5s. Crimi giovedì dovrebbe annunciare in un’assemblea di gruppo la squadra dei facilitatori che indicherà il percorso della manifestazione e le tappe. Ma il gruppo che fa riferimento all’ala governista – ed in questo momento Di Maio ne è il referente – non apprezza la tattica temporeggiatrice, vorrebbe sciogliere subito il nodo. Anche sul tema della alleanza: “C’e’ stata una forte polarizzazione del voto. Lo schema a tre non ha funzionato – ha spiegato i ministro degli Esteri -. Dobbiamo tenere conto del fatto che dove siamo in coalizione spesso andiamo meglio nelle urne. E questo deve farci valutare anche intese con liste civiche”. E’ l’esaltazione del ‘modello Pomigliano’ che però non va giù affatto all’ala ortodossa. Sarà uno scontro sui numeri, magari anche sulle mozioni agli Stati generali, con il timore sulla pattuglia vicina a ‘Dibba’ al Senato, in prima linea l’ex ministro Lezzi, e sulle mosse di Casaleggio.
Sul dato delle Regionali è acceso il dibattito sotto traccia anche nella Lega. Nessuno contesta la leadership di Salvini, anche se in tanti – spiegano fonti parlamentari ex lumbard – ritengono che il ‘Capitano’ oggi avrebbe dovuto essere al fianco di Zaia in conferenza stampa. Tra i due il legame non si spezzerà, il convincimento dei ‘big’, anche perchè Salvini è stato vicino al ‘Doge’ quando lui si è trovato in casa il problema Tosi. “ma – osserva un dirigente della Lega – non ci troverei nulla di strano se a fine legislatura la scelta sul candidato premier ricadrebbe su Zaia. In quel caso sarebbe un bene se tutti avallassero questa opportunità”.
Scenari ipotetici, l’unico dato vero è che il governatore del Veneto non è intenzionato a battersi per guidare la Lega.: “Vorrei perdere sempre così. Avremo 24 consiglieri in più…”, ha detto oggi Salvini che domani incontrerà i suoi per fare il punto della situazione. Resta il fatto che nella Lega si sperava in un risultato migliore di Fdi in Puglia, ma tra i ‘big’ e i ‘peones’ la lettura che viene data e’ anche un’altra. Ovvero il suggerimento al ‘Capitano’ – spiega una fonte parlamentare – è quello di evitare ‘riciclati’ che provengono da altri partiti o ‘imbarcati’ dell’ultima ora. Non è uno scontro tra chi vuole la ‘Lega nazionale’ e chi la contesta. Ma l’invito che viene rivolto a Salvini è quello di ascoltare insomma un pò più Giorgetti e un pò meno, per esempio, Casanova, l’europarlamentare proprietario del ‘Papeete’, un’etichetta che a tanti ‘big’ non va giù. “Ascoltiamo di più i territori e meno i social e gli slogan”, osserva un altro fedelissimo di Salvini. Nella Lega – da inizio ottobre tutti a Catania per schierarsi al fianco di Salvini nella sua battaglia giudiziaria – c’è poi chi ipotizza un legame sempre più forte in prospettiva con ‘Cambiamo di Toti’, con un’alleanza che nei fatti potrebbe andare a discapito di Forza Italia.

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