Interessante riflessione di Fabrizio Cicchitto, già parlamentare della Repubblica e oggi presidente di Riformismo e Libertà, sulle pagine dell’Huffington Post a proposito dell’omicidio dell’ambasciatore Luca Attanasio e della complicata situazione del Congo.
“Premessa. Non occorrono i rapporti di un sofisticato servizio segreto per sapere che il Congo è un paese molto pericoloso – scrive Cicchitto -. Giustamente nel 2018 l’ambasciatore Attanasio aveva chiesto una scorta di 4 uomini: era il minimo sindacale e non l’ha ottenuto. Invece abbiamo appreso che tutto il servizio scorta per l’intera ambasciata è composto da 4 militari. In sostanza l’ambasciatore era assistito da un solo uomo di scorta, con pistola d’ordinanza, senza neanche il giubbotto antiproiettile. In un paese in cui anche i ragazzi delle numerose bande armate agitano i kalashnikov.
Ciò detto come premessa che non va mai dimenticata è giusto anche impegnarsi nell’esercizio di mettere a fuoco le responsabilità del governo congolese e quelle dell’Onu, la cui organizzazione del programma alimentare mondiale (Pam) aveva richiesto la presenza a Goma (città molto distante da Kinshasa) del nostro ambasciatore e che quindi aveva la responsabilità del viaggio.
Su questo punto molte cose dovrebbe dire proprio un italiano, quel Rocco Leone, vicedirettore del Pam, che si è salvato mentre sono morti in 3, l’ambasciatore, il carabiniere e l’autista. Dicevamo che molte cose devono dire Leone e comunque i rappresentanti dell’Onu nella zona, anche per chiarire la veridicità o meno di un’altra voce che sta girando secondo la quale era prassi in quella zona che gli esponenti dell’Onu pagassero una specie di tassa per il passaggio di veicoli sulla strada fino a Goma.
Questa volta la cosa non avrebbe funzionato perché qualcuno (vedi le affermazioni della signora Attanasio) ha fatto sapere a una delle bande criminali che in quel convoglio c’era una personalità così significativa come l’ambasciatore italiano per cui il suo rapimento avrebbe fruttato attraverso il riscatto molto di più della consueta tassa di passaggio.
Ciò detto torniamo alle premesse. Detta brutalmente e al di là delle consuete cautele diplomatiche: ma chi si può fidare del governo congolese e anche di una sezione dell’Onu? Quante volte è accaduto che l’Onu non abbia garantito in materia di sicurezza addirittura le popolazioni che doveva difendere?
Di qui veniamo all’Italia. È lo Stato italiano che in ogni occasione deve fare il passo secondo la gamba, nel senso che deve essere in grado di assicurare autonomamente la sicurezza dei suoi diplomatici attraverso il lavoro coordinato fra il ministero degli Esteri, il ministero della Difesa e l’Aise, al netto di quello che possono o non possono fare altre strutture e organizzazioni la cui credibilità è molto relativa. In caso diverso tutte le manifestazioni di cordoglio e di solidarietà rischiano di lasciare il tempo che trovano.
A questo proposito la questione essenziale è quella che ha messo in evidenza l’ambasciatore Michele Valensise che sul sito del sindacato ha scritto una nota chiara a partire dal titolo: “Vita e morte dei diplomatici fra tanti rischi e pochi mezzi”: l’assassinio dell’ambasciatore, del carabiniere, dell’autista “contribuirà a tenere alta l’attenzione di governo e parlamento sulla correlazione vitale da assicurare fra giusto obiettivi di politica estera e strumenti necessari per realizzarli, non ultimo i mezzi per la tutela della sicurezza di persone e cose. È un nesso essenziale, non se ne può prescindere per la dignità dello Stato e per la memoria di chi è caduto”.
Questo auspicio dell’ambasciatore Valensise è sacrosanto, ma esso non si realizzerà se anche in questa vicenda non si mettono a fuoco le carenze dello Stato italiano. Poi a mio avviso il comportamento del governo congolese e della struttura Pam dell’Onu è stato assolutamente inaccettabile e da condannare, ma a maggior ragione questo rilievo non può assolvere lo Stato italiano dalle carenze che sono evidenti a occhio nudo” conclude.