La testata britannica Daily Mail ha iniziato un’inchiesta giornalistica su presunte morti da Coronavirus che non risulterebbero come tali.
Avete letto bene, il Daily Mail, un giornale mainstream, non un blog complottista.
Già la scelta del titolo non lascia adito a dubbi: “Qual è la verità sulle morti da Covid?”
Interrogativi che più di qualcuno si poneva già all’inizio della pandemia, circa un anno fa. 
Addirittura alcuni medici denunciavano direttamente le pressioni ricevute per inserire la dicitura nei certificati di morte.
Per la stampa, che dovrebbe essere guidata dal dovere deontologico di riportare tutto, non solo quello che aggrada, è l’ennesimo caso di “meglio tardi che mai”.
Lo stesso dicasi per alcuni politici ed esperti che hanno raccolto la causa e deciso di far seguire all’inchiesta giornalistica un’inchiesta pubblica.
Andiamo per gradi.
Il 19 febbraio, una giornalista del Daily Mail, Bel Mooney, scrisse un lungo articolo molto diverso dai soliti reportage, in quanto la coinvolgeva in prima persona.
Riguardava infatti la morte del padre, il cui certificato di morte, ben visibile sulla sua scrivania, “ha trasformato il dolore e innescato la mia rabbia”, scriveva Mooney.
Il padre di 99 anni, infatti, soffriva da tempo di demenza e di una patologia polmonare cronica.
Eppure il certificato parla ufficialmente di Covid come causa di morte.
“Non credo alle teorie complottiste,” continua Mooney, “non ho mai avuto dubbi sul fatto che una pandemia abbia afflitto il mondo un anno fa. (…)
Ma credo che il modo in cui è stato fatto il conteggio delle morti da Covid sia uno scandalo nazionale.” (corsivo nostro ndr)
Parole riprese anche da un responsabile delle pompe funebri.
L’articolo ha suscitato un’ondata di emozione in tutto il paese, con più di un centinaio di lettere giunte in redazione, riportando esperienze simili. 
Otto delle famiglie che hanno scritto al Mail hanno ottenuto di cambiare la dicitura nei certificati di morte.
Ora, un gruppo di esperti medici e di parlamentari chiede a gran voce al governo un’inchiesta pubblica, il prima possibile, dicendosi “certi” che “troppe morti sono state attribuite al virus.”
Fra loro, Layla Moran, deputata liberal democratica a capo del gruppo parlamentare crosspartitico sul Coronavirus; e il deputato conservatore Paul Bristow, membro della Commissione parlamentare sulla Salute, che ha commentato, “Non solo queste cifre distorte sono state importanti nel determinare la risposta alla pandemia, ma hanno causato anche angoscia ed ansia nelle famiglie.”
Per quanto riguarda gli esperti medici, qui quanto espresso dalla Professoressa Clare Gerada, ex presidente del Royal College dei medici di base, “Quando tutto questo verrà a galla, troveremo che abbiamo registrato in maniera eccessiva il Covid come causa di morte.”
Mentre Richard Vautrey, a capo della Commissione dei medici di base della British Medical Association, dichiara, “Il numero di morti può essere stato sovrastimato all’inizio della pandemia, quando i tamponi non erano ampiamente disponibili e la causa di morte era basata sul miglior giudizio relativo ai sintomi.”
Insomma, una valutazione approssimativa in assenza di tamponi, che ci era già stata confermata dall’NHS (Sistema Sanitario Nazionale britannico) in un’inchiesta condotta l’anno scorso.
Ma che emerge anche dai casi segnalati al Daily Mail in questi giorni, come quello di Jessie Wylde , 83 anni. Una diagnosi molto simile a quella del padre della giornalista Bel Mooney, morì nell’aprile del 2020 in assenza di sintomi da Covid.
Eppure il certificato di morte riporta Covid come causa del decesso.
Il medico ammette candidamente che, “in assenza di test, le linee guida incoraggiano i medici ad apporre Covid come causa.”
Il medico ha recentemente acconsentito a cambiare il certificato dietro sollecitazione dei familiari.
Ma cosa sarebbe successo se i parenti di Jessie Wylde non avessero fatto nulla? E quante altre migliaia di certificati rimangono nel dubbio?
Probabilmente lo rivelerà l’inchiesta pubblica, di cui attendiamo i progressi senza pregiudizi di alcun tipo e che fa riflettere su situazioni analoghe in altri paesi, compreso il nostro.
La faccenda, messa in ombra dal dibattito pubblico imperante incentrato sui vaccini, fa emergere tuttavia due conflitti morali rilevanti: il primo, più evidente, riguarda direttamente i deceduti e le loro famiglie, già alle prese con il lutto e costrette loro malgrado ad affrontare una probabile ingiustizia (in nome di cosa?); il secondo pone il dito nella piaga della deontologia professionale dei giornalisti ed è naturalmente legato a questioni di ordine politico sulla gestione della pandemia.
Perché la stampa ufficiale non si è mai occupata, così come di molti altri aspetti, anche di questo?