“Una Gran Bretagna globale in un’era di competizione“.
Questo il titolo del nuovo bilancio della difesa di Londra, reso noto martedì 16 marzo.
Il governo di Boris Johnson s’impegna verso un aumento generale di16,5 miliardi di sterline nei prossimi 4 anni. La cifra rischia di essere “risucchiata” dai 17 miliardi di deficit che erode le casse della Difesa, ha sottolineato la Commissione Parlamentare sui Conti Pubblici, la quale ha infatti richiesto lo stanziamento ulteriore di 20 miliardi di sterline.
Fatto sta che viene assicurato un aumento numerico delle testate nucleari: da 180 diventeranno 260. Non solo. Il documento governativo esplicita anche un’intenzione che si potrebbe definire a ragione allarmante: il Regno Unito non pubblicherà più i dati relativi alle sue scorte operative, al fine di mantenere “una deliberata ambiguità” per gli avversari. Se abbiamo capito bene, ciò vuol dire che, per esempio, le testate nucleari potrebbero aumentare ben oltre il numero di 260 nella segretezza generale.
Il focus dell’attenzione viene posto nell’area indo-pacifica, definita come “il crescente asse geopolitico del mondo” o “il motore di crescita mondiale”. Il riferimento principale è naturalmente alla Cina. Con un linguaggio (volutamente?) ambiguo, il governo britannico e i suoi funzionari – dal Ministro degli Esteri Dominic Raab ad esponenti dell’intelligence – dichiarano che “una mentalità da nuova guerra fredda” non avrebbe senso e che intendono collaborare con Pechino su temi come i cambiamenti climatici. Eppure, allo stesso tempo, il documento ribadisce che il Regno Unito farà di più contro “la sfida sistemica” rappresentata dalla Cina. Johnson ha dichiarato che il paese dovrà “re-imparare l’arte della competizione contro i paesi dai valori opposti,” e reiterato risolutamente “l’impegno con la Nato nel preservare pace e sicurezza in Europa”. Sempre in tema di linguaggio ambiguo, il documento prosegue, “Continueremo a perseguire un rapporto economico positivo, che includa rapporti commerciali più profondi e più investimenti cinesi nel Regno Unito. Allo stesso tempo, aumenteremo la protezione di infrastrutture, istituzioni e tecnologie nazionali fondamentali e rafforzeremo la resilienza delle nostre filiere vitali.”
Per la testata cinese Global Times il Regno Unito, fuoriuscito dall’Ue ed “in cerca di una strategia di consenso al di fuori della sua politica interna frammentata”, è in cerca di popolarità nella regione indo-pacifica. Questo potrebbe spiegare l’ambiguità dei toni. Il giornale continua affermando che il corteggiamento di Londra verso l’India, potenza crescente sotto tutti i punti di vista, rappresenti il tentativo di trovare qualcuno con il ruolo di controbilanciare la Cina. La cosa e’ piuttosto ovvia a molti, commenta il Global Times, “inclusi a molti nel Regno Unito.”
Nel documento britannico non manca ovviamente la Russia. Il caso vuole che lo stesso giorno, martedì 16 marzo, il neo-presidente USA Joe Biden abbia lanciato un attacco decisivo contro Mosca, accusando il Cremlino di aver tentato di interferire nelle elezioni del 2020. Una litania che abbiamo sentito tante volte. Il tutto segue la pubblicazione di un report dell’intelligence che accusa la Russia di aver condotto “una campagna di “denigrazione e disinformazione, compromettendo la fiducia del pubblico verso il processo elettorale ed esacerbando le divisioni sociopolitiche negli USA.”
Tuttavia, come riporta Cnn, quando si tratta di prove sonanti relative all’aspetto tecnico delle interferenze, lo stesso report ammette che “sebbene molti paesi abbiano tentato di interferire, non ci sono indicazioni per cui un agente esterno abbia provato ad alterare qualsiasi aspetto della procedura di voto nelle elezioni americane del 2020, inclusi registri elettorali, scrutinii, tabulazione dei voti o pubblicazione dei risultati.”
Esclusi anche attacchi cibernetici. Non ci sono prove sufficienti per passare all’azione, quindi? Niente affatto. Ulteriori sanzioni sono già state preannunciate e verranno dispiegate la prossima settimana, continua Cnn, ai danni della Russia, ma anche di Cina e Iran.
Ma torniamo alla Gran Bretagna. Nella prefazione al documento sul bilancio, Boris Johnson sottolinea due aspetti fondamentali: l’inevitabile connessione con la crisi internazionale dovuta alla pandemia in corso che, dice, “ci ha ricordato che le minacce alla sicurezza e i test della resilienza nazionale possono prendere diverse forme,” ed il ricorso, al di là delle più ‘muscolari’ testate nucleari e tradizionali risorse della Difesa, al cosiddetto “soft power”, attraverso le arti e le scienze .
Soft power ed influenza sui media, l’inchiesta del The Gray Zone
Coincidenza vuole che poche settimane fa, poco prima quindi della pubblicazione del Bilancio della Difesa, sia stata pubblicata un’inchiesta giornalistica che fa luce sugli investimenti di Londra proprio nel “soft power.”
Secondo una serie di “leaks” fatti trapelare e resi pubblici da Anonymous, il Ministero degli Esteri e del Commonwealth britannico ha sponsorizzato una serie di operazioni mediatiche segrete coinvolgenti BBC e Reuters e miranti a promuovere un cambio di regime in Russia e ad indebolire la sfera d’influenza di Mosca nei paesi vicini. Si tratta d’informazioni molto precise ricostruite in un’inchiesta condotta da Max Blumenthal per la testata The Gray Zone.
Il programma prevedeva l’allestimento di un “consorzio”, una rete capillare di media e contractors dei servizi segreti, il tutto sotto la supervisione dell’organizzazione BBC Media Action e di un dipartimento del Ministero degli Esteri chiamato Sviluppo dei Media e contro-disinformazione (Counter Disinformation & Media Development, CDMD), con a capo l’ex funzionario dei servizi segreti Andy Pryce. L’azione principale era il supporto di media locali, blogger, vlogger, influencer o la creazione diretta di nuovi.
Coinvolti molti ex giornalisti BBC nel ruolo di “mentori”, con il compito di “formare” ed offrire del training a giornalisti locali in Moldavia, Georgia, Ucraina, etc. Il progetto da 9 milioni di sterline, chiamato “Media indipendenti nei paesi partner orientali”, rientra in uno più grande da 100 milioni di sterline. “Queste rivelazioni,” ha commentato l’ex parlamentare laburista Chris Williamson, “mostrano che, mentre i parlamentari britannici si scagliavano contro la Russia, agenti britannici stavano usando la BBC e la Reuters per dispiegare le stesse identiche tattiche di cui la Russia viene accusata da politici e commentatori.” Williamson ha richiesto un’inchiesta pubblica su queste operazioni di copertura del Ministero degli Esteri, ma è stato ostacolato sulla base di “ragioni di sicurezza nazionale.” La portavoce della Reuters foundation Jenny Vereker ha implicitamente confermato il contenuto dei leaks, tuttavia smentendo fermamente che si tratti di operazioni segrete, “Per decenni abbiamo apertamente sostenuto la libertà di stampa ed abbiamo lavorato a livello globale per aiutare i giornalisti a sviluppare le proprie abilità nel riportare i fatti in maniera indipendente.” Ha aggiunto. Bisogna vedere che cosa d’indipendente ci sia in operazioni che godono di fiumi di denaro.
Come si svolgeva il progetto nei dettagli?
“In diverse proposte offerte al Ministero degli Esteri britannico, Reuters vantava un’influenza globale tramite un network di 15.000 giornalisti, inclusi 400 in Russia,” scrive Blumenthal. “Il progetto si svolgeva in partnership con piattaforme mediatiche presumibilmente indipendenti, come Bellingcat, Meduza, e Mediazona, fondata dalle Pussy Riot. La partecipazione di Bellingat sembra essere stata presente anche nelle elezioni nella Macedonia del Nord nel 2019, a favore del candidato pro-Nato.”. Giusto per rinfrescare la memoria, la piattaforma mediatica Bellingcat gode fra gli altri dei fondi del National Endowment for Democracy, istituzione che, di nuovo, si autodefinisce “indipendente”, ma vede fra i suoi membri personaggi del calibro di Elliot Abrams (l’inviato speciale dell’amministarzione Trump in Venezuela, uno dei principali sostenitori del colpo di stato) ed è a sua volta largamente finanziata dal Congresso USA.
Tutte le informazioni, lo ricordiamo, sono disponibili nei siti ufficiali delle rispettive istituzioni. Troviamo poi Zinc Network, un contractors d’intelligence che supervisionava le operazioni: esso vanta la promozione di un “network di YouTuber sia in Russia che nell’Asia Centrale”, supportando in particolare le proteste anti-governative in Russia, la pseudo-rivoluzione colorata del 2020 in Bielorussia – col finanziamento del canale televisivo Belsat – ma anche il colpo di stato del 2014 in Ucraina, col finanziamento del network mediatico Hromadske. Quest’ultimo ricevette denaro anche da USAID, Agenzia USA per lo Sviluppo Internazionale. Tutto questo in aperta contraddizione con le proclamazioni d’intento dei due trust BBC e Reuters, che ufficialmente si dichiarano “indipendenti, imparziali ed onesti.”
Cose nuove? Niente affatto. Lo schema seguito è lo stesso identico rivelato in un documento ufficiale declassificato nel gennaio del 2020: in esso viene a galla che negli anni ’60 e ’70 l’agenzia d’intelligence britannica MI6 utilizzava segretamente BBC e Reuters per finanziare organizzazioni di propaganda anti-sovietica.
Si segue quindi un solco già tracciato. Le proposte di contratto, con tanto di firma, sono disponibili al pubblico grazie all’inchiesta. Spicca per i dettagli la lettera firmata dall’Amministratore delegato di Reuters Monique Ville nel luglio del 2017, relativa al progetto “Costruire abilità nei media russi” (Capacity Building in Russian Media). Nel 2019 seguì un’altra offerta, che rispondeva a richieste ancora più pressanti da parte di Londra, al fine di formare giornalisti in base agli “standard britannici”, di modo che fornissero una visione migliore del Regno Unito e dei suoi valori. Il tutto con l’ulteriore supervisione e mediazione dell’Ambasciata Britannica a Mosca. In base ai documenti in possesso, Reuters dichiara apertamente di aver già condotto in precedenza 10 programmi di training per 80 giornalisti russi per conto dell’ambasciata e si dichiara pronta a condurne altri. “Ironicamente,” osserva Blumenthal, “il tentativo di Reuters di controbilanciare quella che chiama ‘propaganda di stato russa’ o ‘estremismo’ viene autodefinito ‘giornalismo non fazioso’.” Naturalmente poi, come non accennare al dissidente russo Navalny? Il nome di Vladimir Ashurkov, direttore esecutivo delle campagne di Navalny, comparve nel 2018 nelle liste di influencer pagati e formati da Integrity Initiative, un’altra organizzazione-ombra britannica di cui ci siamo spesso occupati. Ma pure il volto di Ashurkov compare in un video del 2013, in cui viene colto chiedere esplicitamente dai 10 ai 20 milioni di dollari ad un agente britannico al fine di “generare un’immagine molto diversa” della scena politica. Interpellati sulle varie operazioni, i direttori di Bellingcat e Zinc hanno minimizzato la cosa, dichiarando che si trattava di “workshop innocui finalizzati alla ricerca digitale e alla verifica delle competenze.”
Il lettore valuti da sé.
Mentre la giusta critica alle politiche dei singoli stati è sempre auspicata, risulta apertamente contraddittorio accusare altre entità delle stesse azioni che vengono perpetrate in prima persona, mentre l’indipendenza giornalistica e la sua deontologia sono valori a sé stanti che sotto il colpo di finanziamenti pesanti vengono inevitabilmente compromessi.
Leni Remedios