Ripartire dall’atelier, dal luogo dell’introspezione, dal luogo della creazione.
Potrebbe essere questo uno dei messaggi che ci trasmette la retrospettiva post lockdown di Giuseppe Modica, al Museo Hendrik Christian Andersen, dal titolo Atelier, Giuseppe Modica 1990-2021. Si tratta di una raccolta di 35 opere che ruotano attorno al tema dello studio dell’artista e che, non a caso, trova il suo posto all’interno di un altro atelier, ovvero la casa museo dello scultore norvegese Andersen (Bergen, 1872-Roma, 1940), suggestivo edificio della capitale ubicato in zona Flaminia.
Ci accoglie nella sala centrale, un Omaggio ad Antonello, ispirato al San Girolamo nello studio di Antonello da Messina, ma qui riproposto con l’autoritratto del pittore siciliano nel suo studiolo di legno. In atelier, e di conseguenza nelle tele esposte, non possono mancare gli strumenti del mestiere: i cavalletti, le squadre, i compassi e gli oggetti dalle forme geometriche come sfere e dodecaedri, come una sorta di razionalità contrapposta agli ambienti metafisici e alle atmosfere oniriche rappresentate.
Girando per queste eleganti stanze, è evidente perché Modica (Mazara del Vallo, 1953) sia stato più volte definito “Il pittore della luce” e quanto sia ossessionato dalla circolarità degli spazi, dalle labirintiche aperture dalle quali, sovente, si intravede il mare. È una mostra di apparizioni e rifrazioni, di specchi e di scale, in cui i punti di vista si moltiplicano tra macchine fotografiche e metronomi che tentano di arginare un tempo infinito e inafferrabile. E non manca il richiamo allo straziante periodo storico in cui viviamo. Nell’olio dal titolo Le rotte della tragedia i teschi giacciono su squadrati frangiflutti e, sebbene talvolta si intraveda una fortezza bianca all’orizzonte – ipotesi di salvezza o di civiltà? – i numeretti su sfondo nero indicano quanto sia terribilmente approssimativo il conteggio delle perdite di vite umane. Una mappa capovolta del sud Italia comunica quanto sia diventato illogico e talvolta aberrante questo nostro pianeta.
In questo Atelier – che sarà visitabile fino al 24 ottobre 2021 – il colore predominante è l’azzurro, in tutte le sue sfumature. Si può, quindi, ripartire dal cielo e nella sua immensità ritrovare la speranza? La stessa che si scorge da quello spiraglio di luce accennato in tante opere, seppur in fondo a misteriose aperture attraverso le quali i pensieri dell’osservatore potranno librarsi e le realtà moltiplicarsi, in piacevoli viaggi dell’immaginario.