Stimati investimenti per circa 15 miliardi di euro per un impatto positivo sul PIL di 10 miliardi al 2030
Una roadmap per la piena decarbonizzazione, entro il 2050, di settori energivori come acciaio, chimica, ceramica, carta, vetro, cemento e fonderie. Un piano con chiari obiettivi e azioni in grado di promuovere per i prossimi anni uno sviluppo sostenibile per i comparti chiave dell’economia italiana e di favorire il raggiungimento dei traguardi ambientali definiti dall’Ue. Le possibili soluzioni di decarbonizzazione percorribili, identificate con il supporto di fornitori di tecnologia, esperti dei vari settori coinvolti ed esperti in tematiche di decarbonizzazione, sono contenute nello studio ”Strategia per la decarbonizzazione dei settori hard to abate”, presentato oggi al presidente di Confindustria Carlo Bonomi e redatto da Interconnector Energy Italia, Federbeton, Federacciai, Assocarta, Confindustria Ceramica, Federchimica, Assofond e Assovetro in collaborazione con Boston Consulting Group.
Dallo studio, in particolare, emerge come la decarbonizzazione dei settori ‘hard to abate’ sia perseguibile esclusivamente attraverso un portafoglio diversificato di soluzioni. Efficienza energetica, economia circolare, combustibili low carbon, cattura della CO2, green fuels (idrogeno e biometano) ed elettrificazione rappresentano, infatti, elementi complementari di un piano di azione congiunto e potrebbero, se implementati in maniera integrale, ridurre le emissioni dirette previste fino al 40% entro il 2030.
Lo studio, inoltre, segnala come per raggiungere gli obiettivi di lungo termine occorra sfruttare a pieno il potenziale di tre leve: cattura della CO2, elettrificazione e green fuels (idrogeno e biometano). Nel 2050, infatti, queste tre leve da sole potrebbero garantire il 70-80% di riduzione delle emissioni totali dei settori analizzati, mentre le restanti e più tradizionali (economia circolare, combustibili low carbon e efficientamento energetico) potrebbero supportare la riduzione delle emissioni per un ulteriore 15-20%. Lo studio suggerisce una roadmap che prevede, in questo decennio, l’implementazione delle leve di decarbonizzazione tradizionali e allo stesso tempo un forte focus su ricerca, sviluppo e sperimentazione delle leve innovative, ad oggi non ancora tecnologicamente mature ed economicamente sostenibili, con l’obiettivo di dimostrarne l’applicabilità e la scalabilità industriale e quindi renderle strutturali dal prossimo decennio. Il percorso di transizione avrebbe un impatto positivo sul Pil di circa 10 miliardi fino al 2030, consentendo il sostegno a circa 150mila posti di lavoro qualora gli investimenti venissero gestiti completamente in Italia.
”L’industria ‘hard to abate – dichiara Roberto Cingolani, ministro della Transizione Ecologica, a cui è stato anticipato nei giorni scorsi lo studio in un incontro al Mise – ha presentato una serie di risoluzioni verticali che afferrano il grande tema della transizione ecologica: passare da un punto A, la situazione iniziale, a un punto B, l’approdo al quale siamo tutti chiamati ad arrivare. Ha trovato il governo coeso nell’ascoltarli e nel lavorare insieme per questa grande trasformazione economica, sociale, ecologica”. Per Giancarlo Giorgetti, ministro dello Sviluppo Economico, “c’è il nostro impegno per coordinarci come governo per arrivare a produzioni che siano ambientalmente sostenibili. L’impatto delle decisioni europee in Italia sono diverse, più impegnative rispetto a quelle di altri paesi e quindi il nostro sforzo deve essere superiore. Naturalmente non solo non ci scoraggiamo ma siamo tutti allineati per metterci al lavoro. Siamo pronti alla sfida per un’industria del futuro con minori emissioni di CO2. Da parte del Mise c’è la volontà di concretizzare quest’impegno in tempi brevi con un tavolo dedicato insieme con tutte le parti interessate”.
Per Antonio Gozzi, presidente di Interconnector Energy Italia e rappresentante dei settori ‘hard to abate’, “il successo di questo percorso dipende da un approccio di sistema, in cui tutti gli attori della supply chain devono essere coinvolti per identificare soluzioni infrastrutturali e distrettuali che garantiscano accesso alle leve di decarbonizzazione alle migliaia di impianti emissivi sparsi per il territorio nazionale – La decarbonizzazione è perseguibile, e per quanto i settori abbiano già fatto tanto in termini di efficienza energetica, circolarità e riduzione delle emissioni, il percorso deve essere sostenuto agendo sull’evoluzione della regolamentazione esistente per rispondere alle nuove esigenze dei settori e predisponendo dei fondi dedicati alla loro decarbonizzazione”.
Oltre ad aver ipotizzato un percorso efficace di decarbonizzazione da attuare nei prossimi decenni, l’analisi degli esperti di Bcg ha individuato delle aree strategiche da cui dipende il successo del piano di transizione al 2030, stimando in circa 15 miliardi di euro l’ammontare del costo totale necessario alla realizzazione del piano e ipotizzando 13 capitoli di evoluzione regolamentare per creare le condizioni più idonee allo sviluppo e all’implementazione delle leve individuate. Relativamente alla parte economica lo studio ipotizza la predisposizione di un piano di fondi strutturato e dedicato ai settori ”Hard to Abate”, a cui affiancare sia meccanismi di sostegno sul modello di quanto già previsto e collaudato (ad esempio TEE, I 4.0., ex Cert. Verdi), sia strumenti di accesso a energia verde competitiva.
I cambiamenti normativi ipotizzati sono invece indirizzati a facilitare l’implementazione delle leve di decarbonizzazione tradizionali (combustibili a basso contenuto di carbonio, economia circolare ed efficientamento energetico), definire una cornice regolatoria dedicata a idrogeno e cattura della CO2, supportare l’economia green sostenendo l’acquisto di prodotti decarbonizzati presso la PA, aziende e clienti privati. I settori ‘hard to abate’ hanno un ruolo di primaria importanza nell’economia italiana, costituendo il cuore dell’industria manifatturiera del Paese: insieme, generano 350.000 posti di lavoro diretti, numero che raddoppia a 700.000 persone calcolando anche l’indotto. Grazie all’impegno profuso negli ultimi 20 anni nel migliorare la propria impronta carbonica, questi settori costituiscono già oggi un benchmark internazionale in termini di circolarità ed efficienza energetica.