“Noi, insieme, responsabili del futuro della nostra Repubblica”. Sergio Mattarella giura per la seconda volta da presidente della Repubblica e, tra gli applausi, indica metodo e obiettivi per fare del nostro un Paese “più moderno”, superando la fase dell’emergenza e dettando un’agenda di lungo periodo. Libertà, diritti, lotta alla diseguaglianza sono i traguardi da raggiungere, con una parola che ricorre martellante: “dignità”. Senza porre limiti temporali, il capo dello Stato spiega brevemente il suo sì alla rielezione. La scelta è stata compiuta da “Parlamento e rappresentanti delle Regioni”, espressione della volontà popolare: una “chiamata inattesa” a cui “non posso e non ho inteso sottrarmi”. La Costituzione come “punto di riferimento della mia azione”, ma soprattutto “il pensiero rivolto a tutte le italiane e a tutti gli italiani”, soprattutto “a quelli più in sofferenza, che si attendono dalle istituzioni della Repubblica garanzia di diritti, rassicurazione, sostegno e risposte concrete al loro disagio”. Il prolungarsi della “profonda incertezza politica e delle tensioni” è un rischio per “le prospettive di rilancio del Paese impegnato a uscire da una condizione di grandi difficoltà” e ora “non possiamo permetterci ritardi, nè incertezze”. Senza insistere sui giorni “travagliati per tutti, anche per me”, ne legge le criticità per spronare a superare i limiti e indica i nodi da sciogliere nei prossimi anni. Serve ora “stabilità”, ma non come palude, perchè gli obiettivi da raggiungere richiedono “dinamismo, lavoro, sforzo comune”.
E dunque servono “strumenti nuovi per prevenire futuri possibili pericoli globali” e soprattutto “il concorso di ciascuno” perchè “dobbiamo disegnare e iniziare a costruire, in questi prossimi anni, l’Italia del dopo emergenza” in cui si riannodi “il patto costituzionale tra gli italiani e le loro istituzioni libere e democratiche”.
Dopo un lungo passaggio dedicato ai pilastri della politica estera italiana, che ha Ue, Nato e Onu come orizzonte, la pace come faro e il multilateralismo come metodo, Mattarella ringrazia il governo Draghi, intensamente impegnato sui dossier nazionali e internazionali per “porre le basi di una nuova stagione di crescita sostenibile del Paese e dell’Europa”. Ma soprattutto il Presidente sollecita “una riflessione sul funzionamento della nostra democrazia”. Se è vero che la società si attende “risposte tempestive”, bisogna ricordare che “un’autentica democrazia prevede il doveroso rispetto delle regole di formazione delle decisioni, discussione, partecipazione”. Le istituzioni devono restare il cardine perchè senza la loro mediazione prevale chi ha maggior forza, come i poteri economici sovranazionali. E se “i regimi autoritari o autocratici” possono apparire più efficienti, le democrazie “sono invece, ben più solide ed efficaci”. Dunque sono decisivi il Parlamento, il cui ruolo deve rafforzarsi puntando sulla qualità, e che, a differenza di quanto successo anche di recente, deve essere messo dal governo in condizione di esaminare i provvedimenti con tempi adeguati. Anche i partiti sono fondamentali ma si devono aprire ai cittadini “con modalità civili”. Lungo poi il passaggio sulla giustizia, che deve essere riformata. Una esortazione secca, reiterata e che ha le sue radici nel primo settennato. Va riformato il Csm perchè recuperi “un profondo rigore”: “i cittadini devono poter nutrire convintamente fiducia e non diffidenza verso la giustizia e l’Ordine giudiziario” o temerne gli “arbitrii”. Mattarella cita la cultura e la scuola come asset fondamentali della nostra identità e del nostro futuro, sottolineando che “è doveroso ascoltare la voce degli studenti”.
Poi fa notare che “le diseguaglianze non sono il prezzo da pagare alla crescita. Sono piuttosto il freno di ogni prospettiva di crescita”. Troppe donne non hanno lavoro, troppi giovani sono precari. “Accanto alla dimensione sociale della dignità, c’è un suo significato etico e culturale che riguarda il valore delle persone e chiama in causa l’intera società” afferma il Capo dello Stato che poi ripete martellante, per tredici volte, tredici volte la parola dignità. Che significa azzerare le morti sul lavoro, scongiurare tragedie come quella del giovane Lorenzo Parelli, opporsi al razzismo e all’antisemitismo, impedire la violenza sulle donne. La dignità è interrogata dalle migrazioni, e ci impone di combattere il traffico di esseri umani, è diritto allo studio, è rispetto per gli anziani, è contrastare le povertà, è non dover essere costrette a scegliere tra lavoro e maternità, è un Paese dove le carceri non siano sovraffollate, è un Paese non distratto sulla disabilità, è un Paese libero dalle mafie, è un’informazione libera e indipendente, è “pietra angolare del nostro impegno, della nostra passione civile”. Mattarella ha concluso il suo intervento, accolto da oltre cinquanta applausi (alcuni dei quali anche dai banchi di FdI), citando David Sassoli. “‘Auguri alla nostra speranza’ sono state le sue ultime parole in pubblico. Aveva appena detto: ‘La speranza siamo noi'” ha ricordato prima di ricevere una standing ovation di quattro minuti. Poi l’omaggio al Milite ignoto, le Frecce tricolori nel cielo di Roma, il tragitto fino al Quirinale sulla Flaminia d’epoca, con accanto Draghi, salutato dai tanti cittadini in attesa. Una liturgia laica non bloccata dalla pandemia, terminata al Colle con i saluti di rito ai rappresentanti delle istituzioni e con le dimissioni di prammatica presentate da Draghi e respinte da Mattarella. Tra i due un lungo colloquio perchè il Paese deve essere ricostruito, al di là delle fibrillazioni della maggioranza, e serve l’impegno di tutti.