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I partiti alla sfida del riformismo

Antonio Tajani è il nuovo segretario di Forza Italia. Segretario, non presidente, perché di presidente ce n’è stato e ce ne sarà sempre uno solo, anche se ora è scomparso. Gli effetti della morte di Berlusconi, a un mese di distanza, sono ancora inesplorati. L’“effetto Berlinguer” – crescita momentanea nei sondaggi – si è concluso rapidamente e ora Forza Italia si pone il problema di come fare ad arrivare in salute alle elezioni europee dell’anno prossimo. La guida di Tajani è provvisoria, nel 2024 ci sarà un congresso; l’attuale segretario di ripresenterà ma inevitabilmente altri lo sfideranno. Non pochi, dentro Forza Italia, si sentono in diritto di poter sostituire la leadership attuale, considerata non all’altezza. “Io sto seguendo la linea di Silvio Berlusconi. E nelle classifiche di gradimento dei leader sono terzo: dopo Draghi e Meloni”, ha detto Tajani in una recente intervista a Repubblica.

“Ci sarà un motivo sono il primo tra i ministri, evidentemente le mie scelte vengono apprezzate. E sa perché? Perché io sono un politico che non si è mai tirato indietro. E gli elettori questo lo comprendono. Uno che si è sempre messo in discussione. Sono stato eletto cinque volte nel Parlamento europeo con le preferenze. Sono salito sullo scranno più alto di quell’Assemblea, da presidente, non certo con giochi di palazzo. Sono un politico che ha rinunciato a 500 mila euro di liquidazione da presidente, perché c’era la crisi economica e volevo dare un segnale. E ancora c’è qualcuno che vorrebbe farmi la morale? Sfido chiunque a venire allo scoperto”. La sfida ci sarà, inevitabilmente. E arriverà anche dentro la maggioranza. Sia Matteo Salvini sia Giorgia Meloni – che per ora non accolgono nuovi parlamentari italo-forzuti intenzionati ad andarsene – si contendono l’eredità elettorale berlusconiana, consapevoli del fatto che senza una leadership degna di questo nome, Forza Italia è destinata a sfarinarsi.

Il problema è che non basta solo una leadership, avendo Berlusconi rappresentato l’inizio e la fine di Forza Italia. Lui il demiurgo, lui l’inventore del centro-destra non ancora diventato destra-centro: finito lui, finita anche la tradizione liberale italiana, l’ultimo a poter arginare l’avanzata inevitabile della destra dopo averla, peraltro, autorizzata a entrare a far parte del consesso democratico. La debolezza di Forza Italia le impedisce di aiutare l’esecutivo. In un momento del genere, fra lo scontro sulla giustizia con la magistratura, il caso Santanchè, il caso Delmastro e il caso La Russa (diverso dai precedenti), le rate del Pnrr che non arrivano, un partito come Forza Italia in una condizione di salute diversa potrebbe essere utile al governo. Anche per confrontarsi con l’ex Terzo polo, che è in un fermento a tratti distruttivo: in Italia viva ci sono malumori per la gestione politica di Matteo Renzi – il caso dell’incoronazione unilaterale di Raffaella Paita ancora si fa sentire – mentre Azione cerca soluzioni per avere ancora un senso politico, a partire dalla sfida al Pd: nei giorni scorsi Alessio D’Amato, ex assessore alla Sanità della Regione Lazio, è passato al partito di Carlo Calenda: “Il mio obiettivo è sempre lo stesso: ricostruire quell’area riformista che il Pd non rappresenta più”, ha detto Calenda.

L’adesione di Alessio D’Amato ad Azione “è qualcosa di più e di diverso di un passo verso la ricomposizione dell’area riformista”, ha detto Osvaldo Napoli, ex forzista della prima ora, oggi nella segreteria nazionale di Azione: “Essa segna la nascita di un nuovo riformismo di impronta liberale, europeista e popolare che il Pd di Elly Schlein non potrà mai interpretare”. Il “riformismo” è insomma il tema dei prossimi mesi e riguarda entrambi gli schieramenti. Da una parte c’è il Pd, con Elly Schlein che deve tenere insieme tutti, anche gli sconfitti, che il 21 e 22 luglio si riuniranno a Cesena con Energia popolare, la corrente di Stefano Bonaccini. Dall’altra c’è Forza Italia che, appunto, deve cercare di non disperdere dirigenti politici ed elettori. Se gli schieramenti politici si radicalizzano ci sarebbe, in teoria, spazio per movimenti centristi, moderati, riformisti. Il problema è che il condominio lib-dem è molto affollato anche di aspiranti leader e il tasso di litigiosità elevato. Come dimostra, peraltro, l’implosione dell’ex Terzo polo (Public Policy).

D. Allegranti

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