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Autonomia, Calderoli insiste: “Con la riforma l’Italia crescerà”

“Le discrasie nel paese sono frutto di gestione centralista dello Stato”

“Si tratta di una vittoria dell’intero sistema Paese che non può arrendersi a un’Italia che viaggia a più velocità. Nulla si risolve con uno schiocco di dita, ma stiamo facendo un gran lavoro per far crescere il Sud: perché far crescere il Sud significa far crescere tutto il Paese. Le dò alcune cifre: se negli anni ’50 il pil pro capite medio di un abitante del Mezzogiorno era poco più del 50% del valore nazionale, negli anni ’60 si riuscì a superare il 60%. Da 35-40 anni siamo precipitati di nuovo al 56% e nulla si è più mosso: è un dato oggettivo. Non è pensabile che si possa procedere su questa rotta. Ovvio che tutti debbano avere le stesse condizioni di partenza. Allo stesso modo però serve che ci sia trasparenza a tutti i livelli e capacità di utilizzo delle risorse: il tempo in cui i fondi destinati agli investimenti venivano utilizzati come merce di scambio elettorale è finito”.

Così Roberto Calderoli, ministro per gli Affari regionali e l’autonomia in un’intervista Milano Finanza parla della riforma dell’autonomia differenziata che superato il primo vaglio del Senato è ora all’esame della Camera.

“Prendo atto che la cosiddetta Unità d’Italia si è scritta ma non si è mai realizzata. Tutte le discrasie che vengono usate per attaccare l’autonomia differenziata fotografano una situazione che è esito di una gestione centralista dello Stato. Gestione che evidentemente non funziona, mentre spesso i territori si sono dimostrati molto più efficienti – spiega -. Oggi abbiamo 12 regioni d’Italia che hanno un residuo fiscale negativo, ovvero incassano più di quello che spendono, e otto che spendono più di quello che producono. Nel complesso le regioni generano 146 miliardi di euro in più, di cui 116 ritornano allo Stato e 30 vanno a bilanciare in senso perequativo i territori che per capacità fiscale non sono in grado di coprire i servizi che erogano”.

Sui Lep Calderoli dice: “La delega contenuta nella norma prevede che con legge di bilancio 2023 venga istituita una cabina di regia composta da tutti i ministri competenti e deputata alla definizione dei Lep e dei costi e fabbisogni standard. Si tratta di definire i livelli essenziali, i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Diritti contenuti nella prima parte della Costituzione ma mai definiti da nessuno. Una definizione era già prevista dalla riforma del Titolo V del 2001 rimasta inattuata: noi lo abbiamo fatto nella legge quadro. Adesso, attraverso decreti legislativi o Dpcm iniziamo a delineare un percorso: abbiamo stabilito i livelli essenziali e stiamo valutando come tradurre gli enunciati normativi in costi standard e relativo fabbisogno. Prima si definiscono i diritti, poi il fabbisogno standard e quindi il relativo costo. Solo dopo si conferiscono le funzioni. Solo così si può peraltro verificare quanto sia stato effettivamente usato. In questo modo attueremo concretamente la spending review. Individuare i livelli essenziali è fondamentale indipendentemente dal fatto che una determinata competenza sia affidata allo Stato o alle regioni”.

Uno degli aspetti che più preoccupano è quello legato alle ricadute dell’autonomia sul comparto sanitario. Già oggi molte regioni faticano a garantire i livelli minimi di prestazione sanitaria ma il ministro assicura: “Se si guarda agli investimenti in conto capitale della spesa sanitaria passata, si vede che le regioni da cui partono maggiormente i malati sono quelle che non hanno usato i fondi. La colpa non è dei soldi che non arrivano ma di come sono stati utilizzati in passato: è il problema della scarsa capacità di spesa a penalizzare il Sud, non i finanziamenti che peraltro vengono sottoscritti insieme alle stesse regioni che poi si lamentano. Si contesta che il riferimento sarà la spesa storica. Il superamento della spesa storica ci sarà, ma il punto di partenza non può che essere quello. Della spesa storica oggi nessuno sa nulla: quando usciranno i numeri effettivi, qualcuno dovrà fare le passeggiate in ginocchio sui ceci. Anzi, a fronte delle risorse non utilizzate per le strutture sanitarie i ceci sono ancora poco: serviranno i fichi d’India. Se poi al posto di fare qualcosa per i cittadini hai fatto altro, ci vorrà un magistrato”.

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