Oggi, i dati diffusi dall’ILO, Organizzazione Internazionale del Lavoro, portano alla luce una realtà preoccupante per l’Italia: siamo all’ultimo posto tra i Paesi del G20 per quanto riguarda i salari. Dal 2008, il valore reale dei salari nel nostro Paese è diminuito del 8,7%. Questo trend negativo non è solo un dato statistico, ma una realtà che colpisce direttamente milioni di lavoratori, con l’Italia che continua a perdere terreno rispetto agli altri Paesi industrializzati.
Come sottolinea Daniela Fumarola, Segretaria Generale della CISL, “I dati diffusi oggi confermano l’importanza di dare continuità e stabilità ai rinnovi contrattuali e di mettere in campo una politica dei redditi che valorizzi le relazioni sociali e industriali”. La Fumarola richiama l’attenzione sul fatto che il 2024, anno in cui sono stati firmati importanti accordi per i Ccnl, ha visto aumenti salariali significativi, superiori all’inflazione, con un recupero del potere d’acquisto pari al +2,3% dei salari, dopo le flessioni subite nel 2022 e 2023. Tuttavia, la Segretaria Generale ritiene che questi progressi vanno ulteriormente rafforzati attraverso un Accordo sui redditi che coinvolga tutti gli attori sociali e istituzionali, per garantire un futuro più equo e stabile per i lavoratori.
In un contesto di salari stagnanti e di crescente disuguaglianza, è essenziale agire con urgenza per incrementare i salari medi e mediani, dando certezze sui tempi dei rinnovi contrattuali e ampliando la contrattazione decentrata aziendale e territoriale. Un passo fondamentale in questa direzione sarebbe anche la riduzione delle tasse sul ceto medio e popolare, in modo da alleggerire il carico fiscale sulle famiglie e stimolare la crescita. Inoltre, la CISL propone di potenziare la partecipazione dei lavoratori nelle decisioni aziendali, attraverso l’approvazione e l’attuazione di proposte concrete per un maggiore coinvolgimento delle persone nella vita economica e sociale del Paese.
Fumarola aggiunge che “l’incremento e la redistribuzione della produttività devono tornare a essere al centro dell’agenda nazionale”, con il più grande investimento di sempre in formazione, competenze e innovazione. È tempo di avviare una nuova politica dei redditi, che unisca crescita economica, coesione sociale e giustizia redistributiva, affinché le disuguaglianze non siano più una realtà così radicata nel nostro Paese.
Il quadro descritto dai rappresentanti della CISL trova conferma anche nelle parole di Arturo Scotto, capogruppo Pd in commissione Lavoro alla Camera, che denuncia la persistente dinamica salariale negativa in Italia, sostenendo che il vero scandalo è la presenza di salari bassi e lavoro povero, che colpisce ben 7 milioni di lavoratori ancora in attesa di contratto. “Nel pubblico impiego, il Governo non riconosce il pieno recupero dell’inflazione perduta, il salario minimo è stato affossato”, afferma Scotto, lanciando un chiaro monito sulle politiche del Governo.
Le dichiarazioni di Elly Schlein, leader del Partito Democratico, non fanno che rafforzare questo quadro. In un recente video sui social, Schlein ha sottolineato la crisi politica che attraversa il Governo, accusando la maggioranza di essere incapace di affrontare i problemi reali degli italiani, come i salari bassi, le bollette troppo alte e le liste di attesa interminabili per i servizi sanitari. “È chiaro che il governo non sta più in piedi”, ha concluso Schlein, concludendo che un cambiamento radicale è necessario per risolvere le sfide economiche e sociali che attanagliano il Paese. E’ evidente dunque che il tema dei salari bassi e della precarietà del lavoro sia una delle principali emergenze sociali ed economiche dell’Italia. Per garantire un futuro più giusto e prospero, è necessario che il Governo e le forze sociali mettano in campo politiche concrete per migliorare il potere d’acquisto dei lavoratori, incentivare la crescita e la redistribuzione della ricchezza, e promuovere una cultura della partecipazione e della solidarietà economica.
Anche se ci sono alcune eccezioni in settori specifici, come l’industria dell’automobile o alcune nicchie di alta tecnologia, in generale i salari italiani sono tra i più bassi in Europa, soprattutto se si considerano i costi della vita e il livello di produttività. Questo si traduce in una crescente difficoltà per i lavoratori italiani di mantenere il loro potere d’acquisto e di fronteggiare l’inflazione.
Secondo i dati più recenti dell’OCSE e dell’Eurostat, l’Italia si trova in una posizione sfavorevole rispetto a molti altri Paesi europei. In media, i salari italiani sono inferiori a quelli di Paesi come:
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Lussemburgo – Il Lussemburgo ha uno dei salari medi più alti d’Europa, spesso superiori a quelli di altri Paesi.
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Germania – Nonostante la crisi di alcuni settori, la Germania mantiene salari medi più alti rispetto all’Italia, soprattutto nelle industrie avanzate.
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Francia – Anche la Francia ha salari più alti in media rispetto all’Italia, con un forte sistema di protezione del lavoro.
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Paesi Bassi – I Paesi Bassi sono noti per un buon livello di retribuzione, che spesso supera quello italiano.
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Belgio – Anche il Belgio registra salari medi più alti rispetto all’Italia.
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Spagna – Sebbene la Spagna abbia avuto difficoltà economiche, i salari medi in Spagna sono comunque più alti rispetto a quelli italiani in molti settori.
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Austria – L’Austria è un altro Paese che vanta salari medi più alti, grazie anche a una forte contrattazione collettiva.
Se a questo si aggiunge che l’Italia ha una pressione fiscale pressione fiscale complessiva (ovvero la somma delle imposte sul reddito delle persone fisiche, le imposte aziendali e altre tasse) che supera il 40% del PIL, un livello significativamente alto rispetto ad altri Paesi europei, il quadro è davvero preoccupanti. Ma il governo di un Paese non dovrebbe occuparsi pure, soprattutto, di questo?
