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Il risorgimento commerciale non può aspettare

Se l’Italia segnata dal diffondersi dell’inedito COVID-19 ha dovuto farsi diversa, anomala nei modi in cui ha ristretto le libertà costituzionali delle persone, nel rispetto dei lutti e del dolore della propria gente, ora è tempo di strutturare in scienza e coscienza politica un risorgimento della semplificazione amministrativa, per ripartire sburocratizzando le economie reali del Paese.

Avremo sicuramente tante occasioni per riflettere sulle mancanze di piani e attrezzature nazionali per fronteggiare le possibili situazioni emergenziali di varia natura e specie. Adesso è il tempo della coscienza economica della politica, tra evidenze scientifiche quotidiane e decisioni coraggiose onde evitare la ulteriore depressione dei diritti socioeconomici e del PIL. Le speranze pazienti di chi aveva bisogno di ripartire quanto prima nei settori commerciali tutti, con tutta la buona volontà di seguire adeguate e puntuali prescrizioni su come tenersi distanziati mentre si acquista e si vende, sono state deluse. Dal DPCM del 26 aprile scorso infatti si apprende che il commercio al dettaglio resterà ancora sospeso nei prossimi giorni, tranne per le attività commerciali al dettaglio che erano già autorizzate a lavorare, ossia le attività per il soddisfacimento delle esigenze alimentari e di igiene della persona, oltre a tabaccai, librerie, edicole e negozi per neonati e bambini. Il tessuto commerciale e mercatale italiano, però, è composto da tante altre aree merceologiche, con le esigenze economiche primarie delle famiglie che all’interno di tali aree vi lavorano e che nelle radicali difficoltà del presente non riescono ad avere una prospettiva rassicurante.

I telefoni dei commercianti e soprattutto di quelli ambulanti squillano non per le necessitate occasioni di compravendita, dato che tutto giace anche in vista dei prossimi domani, ma per i rammaricati consulti tra colleghi. Il tessuto produttivo e della circolazione della ricchezza, paziente e fiducioso nella lotta comune al COVID-19 insieme a tutti gli altri cittadini, adesso si sente per lo più disorientato davanti alle inadeguatezze organizzative delle macchine burocratiche, lasciate anch’esse da sole, con le solite procedure cavillose. Gli esercenti commerciali vogliono capire chiaramente quando e come sarà possibile avere l’emergenziale liquidità promessa di cui essi e l’intero Paese necessitano per sopravvivere, tra imposizioni fiscali sempre all’orizzonte e spese di famiglia e d’investimento. Non si può sfiduciare, con una liquidità tradita nella sua lentezza e con un casuale nonché discriminatorio esercizio delle libertà, il popolo italiano ed europeo.

In questi ultimi giorni da più parti, nella politica, le preoccupazioni dei cittadini e il dramma dei piccoli operatori economici che costituiscono la maggior parte dell’arcipelago economico del Paese, sono state condivise.

In un’intervista per il programma televisivo “Fuori dal coro” il 29 aprile, ormai agli sgoccioli della c.d. fase 1 nonché tre giorni dopo il DPCM sulla c.d. fase-due, l’O. Antonio Tajani ha espresso il suo punto di vista critico sulla risposta istituzionale alla crisi che avanza. Tajani ha sostenuto che “il problema è la liquidità, 600 euro alle partite IVA sono arrivate in ritardo, la cassa integrazione anticipata dalle banche è arrivata in ritardo, non parliamo del decreto liquidità e i soldi che dovrebbero avere in prestito le imprese”. Egli ha poi aggiunto che “purtroppo non c’è liquidità in giro e questo è il problema dei problemi, hanno dato 400 milioni in tutto per le famiglie più povere in tutta Italia”. Tajani ha poi ricordato le azioni proficue delle Regioni, come il meccanismo della social card per le famiglie più povere in Basilicata, o gli interventi in favore delle piccole e medie imprese in Calabria, o gli aiuti di microcredito per i piccolissimi artigiani e commercianti.

Critiche alle strategie istituzionali di ripresa per la c.d. fase-due ormai alle porte sono state mosse, in un’intervista del 28 aprile scorso per la trasmissione televisiva “Omnibus”, dal Sen. Matteo Renzi. L’ex presidente del Consiglio, auspicando un diverso programma di riaperture, ha affermato che “si riapre con mascherine, si riapre con il metro di distanza fino a che non ci sarà il vaccino, si riapre con tutti gli strumenti di sicurezza, ma si dà una cornice di regole in cui poi la persona è libera di muoversi”. Renzi, evidenziando con squillante ironia gli ormai noti nodi del DPCM dello scorso 26 aprile per quel che concerne le visite ai congiunti o i funerali con la presenza di non più di quindici congiunti, a proposito dei criteri distintivi adottati per decidere cosa nel Paese riparte e cosa resta ancora inaccessibile, ha detto che “non si decide le chiese no e i musei si”, dove per “chiese” ovviamente si riferiva alle celebrazioni delle funzioni religiose con le dovute precauzioni.

Più in generale una buona parte del mondo liberale ed europeista odierno, che ieri sosteneva le auspicabili ragioni di una crescita strutturale e condivisa all’insegna dello sviluppo economico con sgravi ed incentivi per le imprese, raccoglie oggi le voci delle urgenze socioeconomiche e delle necessità di ripresa prudente ed attrezzata. I liberali trasversalmente e nel rispetto delle distinte sensibilità progressiste-libertarie e conservatrici-moderate, rimanendo fuori dalle narrative di stile populista hanno l’opportunità e il dovere di sostenere le ragioni delle economie reali costruite anche con il sudore dei piccoli commerci, e al contempo le ragioni esistenziali di una ben programmata ripresa dell’esercizio dei diritti civili in modalità distanziata.

Il governo Conte-bis ha tutti gli strumenti intellettuali per poter maturare, pur nel disagio della corsa dei tempi, un inedito know-how politico-decisionale in favore dell’economia reale del Paese complessivamente intesa. La società civile italiana senza sterili polemiche sta chiedendo al governo di ripensare e riorganizzare alcuni meccanismi amministrativi stanchi ed obsoleti che già ordinariamente rallentano il Paese nell’accesso al credito e ai finanziamenti, e che in una situazione inedita e straordinaria come quella attuale si specchiano negli stagni delle proprie inadeguatezze. Gli animi della società civile chiedono di far competere, proficuamente, le attuali asfissianti poste passive dei bilanci familiari con le potenziali poste attive da conquistare con lavoro e dedizione.

La stragrande maggioranza dei cittadini italiani ha attraversato e sta attraversando le varie fasi della pandemia con resilienza, e vuole continuare a percorrere la via della prudenza, ma all’insegna della luce della necessaria dinamicità economica. Occorrono audacia e preparazione generale per muoversi oltre il buio in cui sta sprofondando il PIL. In questo buio economico dei commerci delle micro, piccole e medie imprese deve essere e restare lo Stato – e mai la puzza delle mafie – la guida attrezzata, viva e vivida, per il risorgimento economico, a partire da oggi.

L.T.

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