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Immigrati, democrazia e impopolarità: dialogo con un editore agnostico e una suora francescana

Nelle ultime ore in Italia, oltre alle discussioni sulle prospettive di ripartenza per i vari settori produttivi ai tempi del COVID-19, imperversa un’altra questione, quale eco di più lontani e radicati dissidi all’interno della politica istituzionale nonché del tessuto sociale. Si tratta della questione della regolarizzazione delle persone immigrate senza permesso di soggiorno che lavorano nel settore dell’agricoltura.

La Ministra delle politiche agricole alimentari e forestali Teresa Bellanova ha dichiarato che da bracciante non lascia i lavoratori in mano ai caporali, e nelle ultime ore continua a sottolineare che le associazioni agricole stanno da più parti denunciando una carenza di manodopera, e che non si può continuare a far marcire i prodotti a causa di questa carenza. Aggiunge quindi che occorre manodopera aggiuntiva e che la regolarizzazione degli immigrati lavoratori nel settore dell’agricoltura non è in contrasto con gli interessi degli italiani, poiché tutti gli italiani che vogliano lavorare in ambito agricolo possono dare la propria disponibilità e iniziare così a operare tranquillamente.

La questione della regolarizzazione ha visto contrapporsi nello scenario politico italiano le solite posizioni, ciascuna delle quali rappresenta lo specchio di una ipotetica tattica elettorale ed al contempo la sintesi di una idea di popolo, nazione, territorio, priorità d’agenda politica.

Le battaglie politiche, spesso, tracciano il proprio recinto per una o più classi di utenza sociale prediletta; spetta all’onestà civica e allo spessore intellettuale del contenuto delle singole vertenze dimostrare la non faziosità e la generalizzabile bontà dei propri intenti, nella compagine complessiva dello Stato di diritto.

Così tradizionalmente i liberali e socialisti umanitari, da un canto, allargano l’utenza giuridica ad un bacino di umanità più ampio, facendo leva sul rispetto dei diritti umani universali e sulle innovazioni strategiche del Paese, professando l’inclusione di altre culture etnoantropologiche senza discriminazioni tra esperienze ad alto PIL ed esperienze di popoli del terzo, quarto e quinto mondo. D’altro canto i neonazionalisti, conservatori dell’idea di ferma immanenza geogiuridica, fanno leva sulle contingenze negative delle crisi economico-lavorative, ed ora pure della crisi su più fronti dovuta al COVID-19, per difendere un’idea di identità non multiculturalizzata che perpetua una astratta e destoricizzata italianità in vecchio stile. Pur nella ricostruzione linguistica delle diverse narrative ed oratorie politiche degli ultimissimi tempi, sostanzialmente le ascendenze politico-culturali si pongono a diverse gradazioni in questa macroscopica bipolarità di valori e intenti.

L’immigrazione però è un fatto, un fenomeno complesso che esiste e che va affrontato in modalità pragmatiche, in modalità che vedano i terreni culturali ispiratori come dei moventi assiologici, e non come delle stanche torri ideologiche entro cui confinare uno scontro fra tifoserie nemiche. Essa realisticamente resta un fatto, e in quanto tale non trova risposte adeguate davanti alle mere congetture o ai discorsi del basso politichese.

Partendo dal tema migratorio, per arrivare alla tenuta ed evoluzione della democrazia e dei diritti civili nel nostro ordinamento, proviamo a confrontarci attraverso un dialogo a mo’ d’intervista con due persone che incarnano due diversi ruoli nel mondo in due distinte posizioni filosofiche, una – allo stato – agnostica e l’altra di fede cristiana. Due persone con profili psicologici e stili esistenziali nonché relazionali totalmente differenti. Entrambe hanno alle spalle pluridecennali esperienze aggregative di promozione culturale all’interno di vari contesti. Partendo dal tema sempre caldo della migrazione ed in particolare della immigrazione, per giungere a parlare di democrazia e diritti, risponderanno ad alcune mie domande Vittorio Basile, 79 anni, saggista, editore, già professore e preside di istituti scolastici in Lombardia, Puglia e Calabria, e Flora Nahi, 74 anni, suora francescana stimmatina, esperta in scienze dei servizi sociali e in teologia, impegnata per i minori della comunità “Avvenire” con la fondazione pugliese “Beato Bartolo Longo”.

La Senatrice Emma Bonino ha dedicato lo scorso 1° maggio a quei “lavoratori invisibili” che sono gli immigrati nelle campagne italiane, e il 28 aprile scorso ha pubblicato su “HuffPost” un articolo intitolato “Liberiamo i nuovi schiavi”, in cui ha sostenuto che l’ambito dell’immigrazione è un ambito dove è possibile tenere insieme tutela dei diritti e interessi economici e di sicurezza. La Sen. Bonino, da ultimo, ha affermato che sarebbe un grave errore fare “marcia indietro sulla proposta coraggiosamente avanzata dalla Ministra Bellanova”. Quanto e come è compatibile la proposta di regolarizzare gli immigrati lavoratori nel settore dell’agricoltura con gli umori degli italiani con partita IVA che ancora aspettano i sussidi per lo stallo dovuto al COVID-19?

BASILE: “Se non si tiene conto della cattiva propaganda razzista che punta sulla paura di una invasione di gente proveniente da altri continenti, e alla luce delle trasformazioni rapidissime che concernono il nostro tempo, dobbiamo ritenere che si possano accogliere lavoratori provenienti da altre zone pienamente e consapevolmente, come voci autorevoli di studiosi dei movimenti etnici, sociologi e il più autorevole di tutti, il Papa Francesco, hanno fin qui dimostrato. Non dimentichiamo che dall’Unità d’Italia noi siamo stati emigranti, soprattutto in America latina. Allora si diceva, per ovviare alla sovrappopolazione, che si poteva essere o briganti o emigranti. Per fortuna il clima oggi è profondamente cambiato. L’iniziativa a livello di lavoro del Ministro Bellanova oltre a provenire da un politico veramente esperto e intelligente, si inquadra nelle rapide trasformazioni in atto nel nostro tempo.

NAHI: “Concordo con Emma Bonino e condivido il suo urlo solidale: liberiamo i migranti schiavizzati! Io parto dal principio evangelico che mi invita, non a livello filantropico, ma secondo i comandamenti di Dio, a tener conto che ogni uomo è mio fratello. Utilizziamo la tecnica psicoterapeutica dello specchio e rivolgiamo a noi la domanda: se ci trovassimo noi in quella situazione quale risposta vorremmo? Ci troviamo in un mondo in cui si parla di globalizzazione, ed anche di localizzazione, nel senso che la politica deve considerare prioritari i bisogni emergenti di ogni persona presente nella società nazionale e locale. Una politica che non riesce a dare adeguate risposte alle persone che versano in situazioni precarie non serve. Leggendo la nostra Costituzione possiamo affermare perentoriamente che ogni uomo è un essere avente diritto a difendere la propria dignità, e che ognuno ha diritto alla libertà, all’istruzione, alle cure della salute, al lavoro e quant’altro. Non dimentichiamo che l’amore di Dio è inclusivo, non permette disuguaglianze ma ci invita all’eguaglianza sociale radicata nella giustizia, nell’amore reciproco e nella carità. Amore, eguaglianza e giustizia sono dimensioni di vita che hanno il gusto della democrazia autentica e non del populismo.

La politica deve garantire i diritti esistenziali di umanità alle minoranze in un’ottica di pluralità ed equità, secondo lo spirito incessantemente in cammino della nostra Carta costituzionale repubblicana e democratica, e secondo lo spirito della scommessa sul futuro forte ed inclusivo di un’Europa politica, sempre più legittimata ad essere presente anche con azioni perequative e geopolitiche unitarie. Da più parti si rischia di essere impopolari se si parla di promozione dei diritti umani senza aprioristiche distinzioni tra etnie, condizioni socioeconomiche, sesso e orientamento di genere, religioni e filosofie. Quanto e come il sistema di democrazia rappresentativa, oggi, ha bisogno di distinguere tra democrazia, da un lato, e garanzia delle minoranze con conseguente rischio d’impopolarità, dall’altro lato?

BASILE: “L’immigrazione è il necessario corollario della democrazia e della riconosciuta centralità dei diritti umani. Consiglio di rileggere “Canto di emigranti” del Magistrato e Poeta Ugo Betti. La vera democrazia è l’assetto forte di una nazione autenticamente civile. Perciò essa è nella capacità di accogliere, fatte salve le garanzie di cui alla domanda – e anche alla luce di un equilibrio e un apporto significativo sotto il profilo economico – consistenti quantità di cittadini-lavoratori provenienti da altre aree. Il mondo è cambiato in fretta e sempre più cambia sotto i nostri occhi, e stendere chilometri di filo spinato o innalzare muri non serve a nulla e non garantisce nessuno. In definitiva, il problema è di natura culturale: più i popoli affinano la cultura e più si realizza il sogno di Vincenzo Gioberti, che ha scritto che la patria è la madre di tutte le patrie e ci consegna all’umanità benedicendoci.

NAHI: “È chiaro che non solo il Vangelo ci parla di giustizia in senso olistico, ma anche gli articoli costituzionali. Occorre, in questo momento difficile per il mondo intero, incarnare la giustizia perequativa che ha come fine una ripartizione equa dei beni comuni e, per ciò che riguarda le imposte, tener conto dei reali redditi dei cittadini. Abbiamo bisogno di una politica perequativa capace di ripartire da questi valori democratici, cristiani, umani e sociali che cambiano il mondo e la vita della gente. Se le leggi non mirano a questo obiettivo, a mio avviso, dovrebbero essere viste come caratterizzate da populismo e quindi dovrebbero diventare impopolari.

Secondo il mio modesto parere di giurista amante dei princìpi fondamentali della Costituzione italiana, e secondo la mia modestissima visione di attivista indipendente ormai da diciassette anni per la cura pretensiva ed evolutiva dei diritti, il neoplenipotenziarismo monocratico, e quindi l’ottica dell’uomo solo al comando in vari settori – ottica presente nell’entroterra culturale di qualche esponente politico estero che esercita un certo fascino in alcuni ambienti nostrani – finirebbe per schiacciare gli insegnamenti della democrazia liberale, e della laicità metodologica intesa in senso ampio. Questi insegnamenti sono la dialettica, il confronto civile, l’interscambio delle esperienze critiche per edificare soluzioni adeguate alle sfide del momento, in una visione progettuale di ampio respiro, sempre capace di mettersi in discussione di fronte alle novità e alle diversità. Quanto è solo oggi l’essere umano che si contrappone al modello di ordine dell’uomo solo al potere? E quanto è alta, secondo voi, la probabilità che il Parlamento italiano debba trovarsi a fare i conti con una visione plenipotenziaria che finirebbe con l’essere la negazione della stessa salute parlamentare?

BASILE: “Colui che crede nei meccanismi della democrazia ad ogni livello non è solo, in quanto il nostro Paese ha maturato una consapevolezza generalizzata, seppur in meno di un secolo, della necessità del metodo democratico. Soli e inutilmente rumorosi appaiono coloro che propagandisticamente ritengono di poter acquisire consenso elettorale improvvisandosi uomini della provvidenza da marionetta. La nostra democrazia ha radici salde maturate nella Resistenza, e coloro che pensano di poter cancellare quanto il popolo italiano ha saputo conquistarsi a livello di libertà sono semplicemente dei folli.

NAHI: “Non apprezzo il neoplenipotenziarismo né in campo politico né legislativo e nemmeno nei contesti ecclesiali. Amo le leggi che considerano un valore nonché una ricchezza la diversità. Non il politico che si avvale dei segni del potere è vincente e promotore di democrazia, ma chi usa il potere dei segni, affermava don Tonino Bello.

Nella vostra esperienza intellettuale, socioculturale e professionale dove avete tratto l’energia per affrontare le varie stagioni sociali più o meno difficili che la nostra Italia ha vissuto nei decenni passati? Vi siete trovati a dover promuovere idee ‘impopolari’ o ‘scomode’ in un tessuto sociale che rifiutava non solo di accoglierle ma anche di ascoltarle? Se sì, quali idee o proposte legislative?

BASILE: “La forza ad ogni uomo la dà la sanità della sua famiglia, la fortuna di incontrare buoni maestri a scuola e la sincerità di affetti ed altro sostegno nei rapporti con gli altri. Questi tre puntelli ho avuto la ventura di sperimentare nella mia vita ormai alquanto lunga. Ho respinto da subito le aberrazioni del terrorismo negli anni di piombo e mi son trovato a vivere iniziative politiche di incivilimento qual è stata la legge Fortuna-Baslini sul divorzio e la conferma di essa con il referendum del 1974. Non ho accettato e non accetto, e l’ho sempre espresso dalla cattedra, l’idea e la prassi dell’aborto poiché ritengo che ci siano ben altri mezzi per ottenere senza traumi di concretizzare la volontà di non prolificare.

NAHI: “Preferisco parlare in generale per non cadere nella contestazione. Io sono sempre partita dai princìpi evangelici e dai comandamenti di Dio. Molte leggi nel corso della storia sono state finalizzate agli interessi di chi le ha fatte, e sono state contestate dai cittadini perché erano impregnate di impopolarità. In campo politico si deve capire che si deve salvare l’economia delle famiglie, che è andata a rotoli. Mi sono sempre impegnata per cercare di far capire che c’è bisogno di regole che non dispongano solo prestiti ma che creino direttamente lavoro. C’è bisogno di investire per il ben-essere di tutti. L’idea alcune volte scomoda che ho sempre promosso è che nessuno esiste per sé soltanto, ma trova la sua identità in rapporto con gli altri.

Ringraziando Flora Nahi e Vittorio Basile per il loro entusiasmo nel rispondere alle mie domande secondo la scienza e la coscienza incarnate in ciascuna delle loro esperienze di vita, riporto in modo integrale e fedele le loro parole per dare libero fiato a tutte le voci nel loro reciproco rispetto e decoro. Voglio condividere di seguito qualche altra mia riflessione.

La primavera dei diritti politici, civili e sociali delle sacche più disagiate di umanità, nel rispetto dell’ordine pubblico-securitario di tutti, deve sapersi esprimere quale elemento costitutivo di una primavera anticriminogena all’insegna di un sempre più strutturato ed ampio contrasto alle mafie. Queste ultime, infatti, talvolta radicano le proprie oscure bassezze a partire dagli angoli impolverati dei bisogni e delle disperazioni di uomini e donne che, nell’asfissia del sacrificio quotidiano, ad un certo punto e comunque ingiustificatamente smettono di chiedere democraticamente idonee risposte socioeconomiche agli apparati istituzionali della politica.

Affinché le pur controvertibili opportunità derivanti dagli odierni, dominanti agnosticismi ortodossiologici ed ideologici non costituiscano l’anticamera di un più generalizzato e nichilistico agnosticismo politico-valoriale, pare opportuno oggi rigenerare – e non riesumare – i contenuti e i formanti dialettici all’interno degli schieramenti politici. Questo percorso di rigenerazione contenutistica su base assiologica, invero, è opportuno che maturi e si sviluppi senza mai cadere in anacronismi; pare opportuno infatti seguire un equilibrato rigore metodologico, storicizzabile tanto nella propria immanenza in fieri quanto – si spera – nelle meditazioni ex post delle dottrine giuspubblicistiche e sociopolitologiche. Il processo di ridefinizione dinamica delle macroscopiche agende politiche e degli schieramenti, su orizzonti di geografie politiche evolutive, non può non considerare le seguenti controverse questioni: a) il tipo e il grado di sensibilità eurounionale da perseguire; b) il livello di civiltà da promuovere e le opportunità (tra sicuri benefici culturali ed eventuali rischi) insite nella multietnicità sociale; c) il posizionamento italiano sulla scacchiera internazionale per quel che concerne la ricerca e la tecnologia; d) i modelli di sviluppo attraverso la produzione, lo scambio e la distribuzione delle opportunità di ricchezza.

Al di là delle contingenti e cangianti mode “pop”, onde evitare, nell’ulteriore corso della storia umana, disumane derive autoritarie a legittimazione neoplebiscitaria, la democrazia socioliberale e personologica ha il compito di non temere l’utilizzo degli strumenti giuridici per la tutela dei diritti umani conquistati nelle esperienze valoristiche poste alla base del neocostituzionalismo. I diritti primari concreti della persona concreta sono come radici immanenti al terreno fragile dell’esistenza individuale in società: la sussistenza, la sedimentazione e la maturazione di tali diritti non possono andare in ferie, e nemmeno in cassa integrazione.

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