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CULTURA

Palazzo Odescalchi in svendita, l’ombra della speculazione mette a rischio il patrimonio artistico romano

E’ la svendita di un patrimonio architettonico e artistico inestimabile, un altro tassello del depauperamento del patrimonio capitolino. Palazzo Odescalchi, una delle espressioni più significative della città di Roma rischia di essere smembrata e scompaginata. In un tourbillon di vendite avventate, un tanto al chilo verrebbe da dire.

A qualcuno verrebbe da pensare che si tratta di una vicenda privata di una nobile famiglia romana.  E invece no. Sono affari pubblici. Che richiederebbero un sequestro preventivo dei beni della famiglia Odescalchi e un intervento pubblico, nello specifico del ministero dei Beni culturali. Che succede? Succede che Giulia Odescalchi, «nata sotto un cavolo reale» e disprezzante di «vecchiumi e antichità», come scrive lei stessa nel libro “Morale della favola” del 2006, ha messo in vendita appartamenti all’interno dell’avito palazzo alla cifra irrisoria di 4500 euro al metro quadrato. Basta farsi una passeggiata su internet o sfogliare le riviste di settore per scoprire che si può metter su casa in appartamenti di 150 metri quadrati dai soffitti a volta con le armadiature d’epoca con poco più di un milione di euro. Per dire, l’int. 3 scala A al piano 2°, con soffitti a cassettoni dipinti e dorati,  260 mq più terrazzo di 180 mq, con splendidi affacci sui giardini Colonna, si può acquistare per 1.500.000 euro. Un vero affare!  Per un comune mortale sembreranno pure cifre proibitive, ma chi conosce il mercato immobiliare romano capisce subito che sono prezzi irrisori. E che qualcosa non torna, considerando, ad esempio, che a palazzo Pecci Blunt appartamenti al 1° e 2° piano costano € 13.000/mq e quelli di palazzo Sacchetti € 16.000/mq.

Insomma, con gli stessi soldi con cui a Roma si può acquistare un appartamento in condominio in zona Eur-Tintoretto, qualche fortunato potrà accasarsi negli appartamenti berniniani di piazza Santi Apostoli 80. Certo è che Livio  Odescalchi (1652-1713), duca di Bracciano, una delle figure più influenti della Roma del tempo si starà rivoltando nella tomba a vedere il suo palazzo e le sue collezioni, tesori architettonici, artistici e archeologici unici, smembrati, mercificati e dispersi.

Dal 1693 Livio abitava a palazzo Odescalchi con lo zio il cardinale Benedetto, divenuto poi papa col nome di Innocenzo XI. Qui, nel palazzo progettato da Gian Lorenzo Bernini con cortile porticato con le 10 colossali statue romane, custodiva le famosissime raccolte acquistate dagli eredi di Cristina di Svezia, tra cui disegni di Michelangelo e 21 di Raffaello. I disegni erano rilegati in 31 taccuini. Che fine hanno fatto quei taccuini? Spariti nel nulla, dispersi in giro per il mondo, acquistati da qualche trafficante d’arte per impreziosire collezioni private. Uno di quei taccuini è emerso sequestrato alla dogana di Fiumicino a seguito d’un tentativo di esportazione clandestina e poi usucapito dallo Stato perché dimenticato da Giulia Odescalchi. Nel 1997 si chiuse la vicenda dei 100  disegni autografi di Pietro da Cortona e Ciro Ferri abbandonati da donna Giulia, ed «essendo largamente trascorsi i termini previsti dalla legge senza che nessuno avesse intrapreso azioni per far valere il diritto alla restituzione del bene» furono assegnati all’Istituto per la Grafica. Altri taccuini Odescalchi sono stati intercettati all’estero dagli studiosi: uno con i paesaggi di Francesco Allegrini è emerso di recente sul mercato antiquario londinese. Degli altri preziosi taccuini non se ne sa più nulla, come di molte altre importanti opere.

La stravaganza comportamentale ha caratterizzato e caratterizza molti membri della famiglia Odescalchi. Solo amministratori di sostegno, curatori e tutori, nominati dal Tribunale, hanno salvato porzioni di patrimoni Odescalchi di rilevanza collettiva. Uno dei fratelli di Giulia, Filippo “Il Principe barbone” aveva anche lui rinnegato le tradizioni ma a differenza della sorella, ha rinunciato all’eredità a favore dei figli.
La “principessa ribelle” invece effettua stravolgimenti strutturali, forse ispirata dal progetto approvato dalla Soprintendenza per il palazzo Pecci Blunt che prevede, tra le altre assurdità, nella cappella gentilizia affrescata, un gabinetto ed i nuovi servizi igienici soppianteranno l’altare, ancora oggi centrato alla parete, fiancheggiato da due angeli- cariatidi: ecco dove spunterà una toilette sovrastata dai putti, nel vano decorato con affreschi barocchi!!  I lavori a palazzo Pecci Blunt per fortuna non sono mai iniziati. A palazzo Odescalchi invece sono conclusi, per essere riapprontati ciclicamente secondo le esigenze abitative o commerciali del momento. Così l’impianto distributivo berniniano, veniva dotato di comodi corridoi tagliando soffitti a cassettoni dipinti e dorati, cancellando gli emblemi primari: monti e stelle chigiane. Le mura portanti sventrate per creare più comodi passaggi così come quelli perimetrali aperti per accogliere vasche da bagno ed idromassaggi; le fasce d’affreschi sotto i soffitti eliminati dai soppalchi e gli appartamenti frazionati moltiplicano le unità, cancellando l’identità spaziale originaria. Nuovi appartamenti più appetibili per il mercato, in un inedito programma che vede il palazzo del Bernini trasformato in condominio commerciale.

Elencare le meraviglie artistiche custodite negli appartamenti di Piazza Santi Apostoli richiederebbe fiumi di inchiostro. Ma solo per citarne alcune, vi si trovano la “Conversione di San Paolo” del Caravaggio, e tanti capolavori di cui Giulia Odescalchi pare abbia fretta di liberarsi per poter commerciare gli appartamenti. La nonna di Giulia aveva portato a Roma la straordinaria quadreria da Genova tra cui i capolavori di Lucio Massari “La Fede a Thamar data dal Pastore” (n° 38 d’inventario) e “Susanna tra i Vecchioni”, di recente staccati dalle pareti e messi in svendita chissà dove. Tanti altri capolavori li hanno preceduti nella indisturbata dispersione all’estero: la “Resurrezione” di Saturnino Gatti (1463-1518) olio e tempera su tavola, privato dall’ingombrante cornice dorata per renderlo più agevolmente espatriabile, era in vendita da Christie’s New York (asta n° 8338) il 12 gennaio 1996, “Important Old Master Paintings” lotto 40. Altri capolavori hanno lasciato per sempre il palazzo berniniano tra i quali la “scena campestre” di Marcantonio Franceschini (1648-1729) disegnata da Fragonard (Londra, British Museum), la “Sacra Famiglia” di Gaudenzio Ferrari, il “Raffaello delle Alpi” (unico quadro venduto a comparire nella denuncia di successione),  le  magnifiche “Vedute di Tivoli” e di Grottaferrata” del Vanvitelli, finite in asta con falsa  provenienza dichiarata. Così uno dopo l’altro il palazzo Odescalchi si svuota di capolavori. Un danno irreversibile per Roma e la collettività scientifica ed artistica mondiale.Ma come e possibile che la Soprintendenza, organo di vigilanza sul territorio, consenta tutto ciò? Nella dichiarazione di successione paterna del 1989, la principessa Giulia ed i fratelli hanno dichiarato di aver ereditato solo sei dipinti minori: “1) scuola fiamminga “crocefissione”; 2) Luca di Leyda “sacra famiglia”; 3) Garofalo “Sacra conversazione”; 4) G. Ferrari “Madonna con angeli”; 5) A. Mor “ritratto virile”; 6 “ritratto equestre di Filippo IV”, eppure di dipinti sculture opere d’arte ve ne erano centinaia. E non occorre essere esperti per capire che già allora si ponevano le basi per la dipartita all’estero di tante opere d’arte.
L’incapacità della percezione del valore di beni storici, architettonici frantuma e cancella l’identità culturale che, ora, solo il sequestro preventivo potrebbe tutelare.
Intendiamoci, il mercimonio non riguarda solo gli Odescalchi. Tra i casi da ricordare quello di palazzo Sacchetti (dove sono state girate alcune scene della “Grande bellezza” di Sorrentino), i cui arredi sono finiti a Londra da Sotheby’s “Of Royal and noble descent”. 460 opere venivano disperse sul mercato internazionale il 17 gennaio 2018, tra queste il “Baldacchino” che, per chi conosce la storia e la rispetta, sa che è un simbolo papale che sintetizza le prerogative millenarie dei “Marchesi di baldacchino”, 4 al mondo! ma per la Soprintendenza, ciò pare non bastare.
E’ vero che la tassazione introdotta dal  governo Monti  per i palazzi vincolati indifferentemente per tutte le aree geografiche della Penisola a prescindere dalle singole peculiarità ha condannato alla distruzione e all’abbandono i palazzi nelle aree più fragili del Sud meno appetibili ed in cattive condizioni, ma di soldi la “Principessa ribelle” ne ha presi tanti per merito degli antenati. Proprio l’azione di papa Innocenzo XI e Livio I a difesa di Vienna dall’assedio dei Turchi nel 1683 e la liberazione di Buda nel 1686, le hanno fruttato, nel 2000, una pioggia di soldoni pubblici.  Nel 2000 gli italiani con le proprie tasse hanno versato agli Odescalchi lire 46.373.287.340 (comunicazione pr. 6875 14 del 16 febbr. 2000) per la perdita di guerra del compendio fedecommissario immobiliare denominato Ilok nell’ex Jugoslavia. Il papa aveva imposto al nipote Livio di frequentare la scuola dei Gesuiti, in modo da insegnargli ad ottenere ruoli solo per meriti personali contro ogni aspirazione parassitaria! Viene da dubitare sul fatto che l’insegnamento di Innocenzo XI sia arrivato ai discendenti.
I soldi pubblici continuano ancora a piovere ancora in anni recenti. Il 7 luglio 2015 lo Stato italiano, su disposto della Corte di Strasburgo, le ha dovuto pagare ancora  un milione per l’esproprio di terreni nel Comune di Santa Marinella. Eppure niente sembra bastare per appagare gli appetiti di chi gestisce il suo patrimonio. Solo il sequestro preventivo potrebbe salvare il patrimonio culturale di Giulia Odescalchi da una gestione a dir poco attenta.

In questa brutta storia di beni svenduti c’è anche spazio per il classico feuilletton, il romanzo d’appendice in cui non si capisce bene dove finisce la storia d’amore e iniziano gli affari, più o meno leciti. E’ possibile che a suggerire a Giulia Odescalchi di svendere tutto e il più velocemente possibile sia stato Gabriele Baldini, nel 2012 assurto agli onori delle cronache (quelle giudiziarie) per quello che i giornali hanno chiamato “La banda della firma digitale”. Baldini, sconosciuto al fisco perché, secondo gli investigatori, evasore totale, e David Henry Antinucci avrebbero scippato, grazie ad una illecita firma digitale l’azienda a Dazio Bozzetti, titolare della Lprt Immobiliare.

E’ attualissimo il dibattito per cui l’Italia potrebbe, grazie alle sue bellezze, centrare la propria economia sul turismo, grazie alla rivalutazione culturale. Ma se il buongiorno si vede dal mattino, come recita la saggezza popolare, c’è da stare poco allegri sulla valorizzazione e tutela del nostro patrimonio culturale. Il Ministero dei Beni Culturali deve sventare qualsiasi velleità di depredare il patrimonio italiano e garantire la tutela delle opere vincolate e non vincolate. Il caso Giulia Odescalchi è stato segnalato e documentato alla Soprintendenza già un anno fa, ma ad oggi nessun riscontro. E’ il caso che il ministro Franceschini batta un colpo su questa vicenda. Prima che sia troppo tardi.

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